domenica 27 luglio 2014

Memorie (Memories) - racconto sui ricordi dei luoghi

Alice e Andrea arrivarono nella radura per caso, dopo una lunga escursione in montagna. Un ampio spazio erboso illuminato dal sole era circondato dal fitto bosco, interrotto solamente per un piccolo spicchio di cielo dove la terra cadeva a precipizio. Una casa solitaria sorgeva al centro.
“Una casa...qui?” esclamò Alice.
“Bhè, si...è da molte ore che camminiamo, è una casa parecchio isolata. Ma, hai idea di come tornare indietro?”
“Andrea, so esattamente come tornare indietro, conosco questi boschi, ho solo fatto una piccola deviazione per variare sul tema. Non ero mai stata qui e non avevo mai incontrato questa casa. Diamo un'occhiata?”
“Magari è abitata!”
Alice si era già diretta verso la casa. Andrea non poté fare altro che seguirla.

Fissò per l'ultima volta la casa alla luce dell'alba, come per lasciare lì tutti gli orribili ricordi di cui la sua mente si era caricata nelle ultime ore. Doveva dimenticare, assolutamente. Aveva bruciato tutto nel caminetto, avrebbe voluto dare fuoco alla casa, ma forse un incendio così grosso avrebbe attirato l'attenzione...se qualcuno si fosse avvicinato, forse avrebbe scoperto...
Aveva prima fatto a pezzi il corpo di lei a colpi d'ascia , per poi gettarlo pezzo dopo pezzo nel dirupo in pasto agli animali selvatici, come poi fece con le automobili. Seppellì gli altri tre cadaveri in un punto imprecisato della foresta. Doveva dimenticare.
Avrebbe cambiato identità, avrebbe cambiato vita. Montò sul suo fuoristrada e se ne andò.
Doveva dimenticare.

La casa era composta da due piani, nel tipico stile di montagna col tetto spiovente, ma con un tocco di modernità. Non doveva avere molti anni, forse dieci, vent'anni, ma il totale stato di abbandono faceva capire che non era più abitata da molto tempo. L'erba e alcune piante erano cresciute un po' ovunque, le pareti avevano subito l'usura degli elementi e qualche tegola era caduta...ma erano assenti i tipici atti vandalici che caratterizzano i luoghi abbandonati, come scritte sui muri, bottiglie vuote, vetri rotti etc. Alice e Andrea erano i primi a tornare in quella casa dopo essere stata abbandonata dai proprietari.
“Entriamo? Sembra sia abbandonata.” Disse Alice.
“Non so, magari sono solo molti mesi che nessuno è più tornato.”
“Dai! Ma non vedi com'è ridotta? Poi mica rubiamo niente. Non ero mai stata qui!”
“Ok, dai, ma facciamo attenzione.”
Si avvicinarono all'entrata. Quella che era una lampada da esterno a sfera con un braccio ritorto satinato che simulava l'aspetto di un lampioncino, era a terra in frantumi.

Aiutoooooo!!!! Aiutoooooooo!!!”
Le grida erano lancinanti.
Che cazzo urli troia maledetta! Nessuno ti sente! Nessuno!” Le sue parole erano quasi incomprensibili, distorte dalla bava schiumosa.
Perché?! Perché fai così? Io ti amavo, pezzo di merda!”
Lui non disse niente. Con il coltello in mano corse verso di lei, che riuscì ad aprire la porta, quasi a scappare, ma la afferrò per un braccio. In un tentativo disperato si aggrappò alla lampada da esterno a sfera, ma lui tirò così forte che la lampada si staccò dal muro cadendo rovinosamente a terra. Fu trascinata dentro. La porta si chiuse.

Aprirono la porta.
Il salotto illuminato dalla luce che entrava dall'esterno era piuttosto banale; tipico arredamento moderno in stile povero. I mobili erano incredibilmente nuovi quanto rovinati dal tempo, montati e mai utilizzati. Provarono ad accendere la luce, ma non funzionò. Alice aprì qualche sportello e cassetto.
“Ma che fai?” esclamò Andrea.
“E' tutto in ordine. Tovaglie, tazze, quaderni...tutto intonso.”
“Strano...guarda il camino...”
Il camino era l'unico elemento con segni di utilizzo. Le pareti interne erano nere come parte della muratura intorno, come se qualcuno avesse bruciato troppa legna da far uscire le fiamme.
“Alice? Dove sei?”
“Sono qui in cucina!”
Anche la cucina non lasciava sorprese con il suo stile finto rurale...solo un elemento era evidentemente assente: dal ceppo dei coltelli, ne mancava uno.

La trascinò in cucina per i capelli e la scaraventò a terra, poi la prese a calci, prima su gambe a braccia, poi su addome e costole, poi sulla testa, che da subito sanguinò dal cuoio capelluto. Sputò un paio di denti insieme a grumi di sangue e muco, e cominciò a singhiozzare non riuscendo ad urlare. In quel momento realizzò che non sarebbe uscita viva da quella casa e non oppose più resistenza.
La rigirò pancia all'aria ammirando inebriato la faccia tumefatta. Con il coltello lacerò gli abiti ferendola superficialmente, poi le strappò le mutande. Infilò la lama nella vagina lacerandone l'interno. Un urlo di dolore e terrore uscì gorgogliando, ma non si mosse perché sapeva che stava per morire.
La fece alzare in piedi, il sangue colò copioso dalle gambe tremanti. Con tre colpi ben assestati le fracassò il naso sullo spigolo del lavandino, poi la costrinse a chinare la testa nel lavello e cominciò a segare il collo. Dopo una prima semplice incisione il coltello a lama liscia e non proprio affilata non riuscì a tagliare le vertebre, così dovette desistere alla decapitazione e la gettò a terra.
Sangue, saliva, muco e liquidi linfatici la facevano respirare a fatica, ma la sua mente era ancora orrendamente lucida. Ecco, mancava poco. Stava per morire.
Si inginocchiò, afferrò una ciocca di capelli intrisi di sangue e sollevò la testa. Lentamente e con gusto infilò la lama sotto il mento, mentre fissava i suoi occhi. In pochi interminabili secondi la lama arrivò al cervello. Era morta.

“Alice, sta per calare il sole, tra poco dobbiamo andare.”
“Ok, andiamo a dare un'occhiata al piano di sopra e via.”
Salirono le scale. Su un corridoio che terminava con una finestra stavano due porte chiuse.
Andrea aprì la prima porta: era una stanza per bambini, completa di lettini “appena fatti”, scrivanie, un armadio. Il tema della stanza erano degli animali della foresta stilizzati e alberi vari sparsi per le pareti. Si addentrarono nell'altra stanza che era ben più strana. In realtà era tutto in ordine, ma il letto non aveva il materasso; rimaneva solo la struttura in doghe di legno che avrebbe dovuto ospitarlo.
C'era tutto, tranne il materasso.

Era stato uno stupido.
Con il fuoristrada correva sullo sterrato al buio. In montagna il sole tramonta presto.
Avevano costruito quella casa per stare lontani dalla città, per respirare aria pulita senza pensare al lavoro e ai problemi quotidiani. Finalmente era terminata e quella doveva essere la prima notte di pace e tranquillità, lontani dallo smog e dai rumori...Come poteva essere stato così ingenuo?
Arrivato alla casa vide che c'erano due macchine parcheggiate. “Maledizione!”
Le luci erano accese sia al piano terra che al primo piano. Aprì la porta. Il silenzio regnava. Si guardò intorno e non vide nessuno. Salì le scale.
Intravide le gambe a pochi gradini dal piano. Sua moglie giaceva in una pozza di sangue a faccia in giù nel corridoio con una profonda ferita alla schiena. Non emise suono, preparandosi alla più terribile delle ipotesi che una scena del genere generò nella sua testa.
Entrò nella camera da letto. Sul materasso zuppo di sangue erano distesi suo figlio e sua figlia di cinque e otto anni, con la gola tagliata da un orecchio all'altro. Il coltello poggiato sul letto.
Seduta su una sedia c'era lei, la sua amante. - Questa sera risolvo tutto con tua moglie alla casa in montagna – gli aveva scritto su un sms quel pomeriggio, dopo che la settimana prima le aveva rivelato dove lui e sua moglie si erano costruiti il rifugio per le vacanze.
Lei lo amava, lui voleva solo scopare. Lei era pazza, lui un ipocrita.
Urlò di rabbia e dolore, lei capì che doveva fuggire. Cercò di afferrarla ma lei gli sfuggì scendendo le scale. Afferrò il coltello e la inseguì.

“Andrea, andiamo via. Mi sono rotta le palle.”
Uscirono dalla casa e si diressero verso il sentiero. Alice e Andrea non tornarono più in quella casa e presto dimenticarono di averla trovata.
Tempo dopo un fulmine la colpì e prese fuoco. Ora quella casa non esiste più, esiste solo un ampio spazio erboso circondato dal fitto bosco.

FINE
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