Henri, colpito da una
grave appendicite, era costretto al letto. Nel suo piccolo e spartano
monolocale la sua attività preferita era leggere libri su paesi
lontani. Il suo amico Pablo lo aiutava con piccole commissioni e
nuovi libri che arricchivano le pile accatastate sul pavimento.
Toc toc
“Avanti” disse Henri
La chiave girò nella
serratura e fece la sua comparsa Pablo con un grosso ingombro che
trasportava con entrabe le mani.
“Pablo! Ma che cos'è
quella roba?!”
“Un regalo per te.”
Poggiò a terra il pacco grosso e piatto ed iniziò a scartarlo
“Tadaaaaa!”
“Un quadro? Io non ho
quadri.”
“Appunto! In questa
stanza non c'è una nota colorata, solo pile di libri e pentole.
Henri, hai bisogno di cose belle da vedere.”
“Bhè...in effetti
apprezzo il gesto. Avvicinalo, fammelo vedere meglio.”
La tela era contornata da
una semplice cornice in legno scuro e ritraeva una stanza: in primo
piano un tavolo con un cesto di frutta, in parte caduta sul tavolo, e
un vasetto di fiori su una tovaglia a righe bianche e rosse; affianco
un mezzo grammofono appoggiava su un apparente caminetto.. Sullo
sfondo una tenda tirata per una parte, apriva una stanza
caratterizzata da una grande finesta che affacciava su un panorama di
tetti e montagne ancora più in là. Le pareti, la tenda e il
pavimento erano ricopperti di arabeschi di vari colori. Tutto sarebbe
stato abbastanza normale se non per le prospettive mutevoli e le vie
di fuga ambigue che rendevano il tutto...bizzarro.
“...Ti piace o no?”
“Si...dieri di si...non
saprei, non ci capisco di arte...ma direi che mi piace.”
“Bene! Lo vogliamo
appendere davanti al letto? Così potrai contemplarlo quando vuoi.”
Preso martello e chiodi,
Pablo fissò il quadro alla parete. “Ora devo andare Henri, ci
rivediamo nei prossimi giorni.”
“Va bene Pablo, grazie
mille...aspetta...” Pablo uscì dalla camera senza che Henri
finisse la frase.
Si era dimenticato di
chiedergli dove avesse preso il quadro.
Quella sera Henri non
riusciva a dormire e un fastidioso mal di testa rendeva la lettura
difficile. Alzò lo sguardo verso il quadro. Inizialmente la sua
attenzione fu catturata dalla frutta caduta sul tavolo: limoni? Mele?
Pesche? Arance? La pennellata dell'artista non era netta, tutt'altro,
rendendo gli oggetti comprensibili, ma non del tutto. Poi vagò con
lo sguardo nella camera dipinta, per ammirare la tenda tirata da una
corda, ricoperta di disegni nebulosi e variopinti. “Entrò” nella
seconda stanza. Li si “affacciò” dalla finestra sul paesaggio
sfocato...notò qualcosa...
Tra la finestra chiusa e
la tenda tirata, c'era un piccolo rettangolo di tela che prima non
aveva notato. Dentro quel rettangolo c'era un volto indefinito. Non
era chiaro se fosse l'artista che si specchiava da dietro il tavolo
con la frutta, o se fosse un'altra stanza oltre quella con la
finestra. Non si ricordava di quel volto...
Henri si addormentò.
“Curioso” disse
Pablo.
“Mi comunica
inquietudine, ma anche calma.”
“Neanche io avevo
notato il volto.”
“Queste vie di fuga
paradossali, queste geometrie inesatte, queste pennellate
indefinite...originale...”
I due amici fissavano il
dipinto seduti sul letto da almeno un'ora.
“Henri, ora devo
proprio andare all'ufficio postale a spedire una lettera importante,
ci vediamo nei prossimi giorni.”
“Ciao Pablo, grazie
della visita...ah, dove hai...” Pablo era uscito. Anche questa
volta si era dimenticato di chiedergli dove avesse preso il quadro.
“Pronto Pablo...vieni
subito!”
Henri camminava
nervosamente nella stanza, osservando con la coda dell'occhio il
quadro, ma senza mai soffermarcisi troppo.
Entrò Pablo.
“Cosa è successo,
amico mio?!”
“Pablo, guarda il
quadro, guarda bene...guarda il volto!”
“...Henri...ti
assomiglia...”
“Sono io Pablo! Il
volto nel quadro è il mio! Pablo...dove hai preso il quadro?!”
“...”
“Dove!”
“Henri...da quando ti
conosco il quadro è sempre stato qui...”
Henri sbiancò in volto.
“Cosa dici? L'hai portato tu pochi giorni fa!”
“Non è vero Henri,
io...”
“Tu vuoi farmi
diventare pazzo! Sei entrato di notte ed hai dipinto tu il volto
mentre dormivo! Prima l'hai abbozzato, poi l'hai reso simile al mio!
Perché vuoi farmi impazzire, eh?! Perché!!!”
“Henri, calmati!”
“Fuori! Vattene via! E
non tornare mai più!”
Henri cacciò Pablo dalla
stanza sbattendo la porta, poi con rabbia staccò il quadro dal muro
e lo lanciò fuori dalla finestra.
Al suo risveglio Henri
vide che il quardo era ancora appeso al muro. Una lettera affrancata
era stata fatta passare sotto la porta d'ingresso:
“Caro Henri,
dove sono ora tutto è
strano e diverso. Ciò che credevo certo si è rivelato un'illusione.
Cosa ci spinge a credere in quello che percepiamo? Perché non
possiamo vedere la meraviglia che si nasconde dietro le geometrie
convenzionali? Henri, dovresti vedere questi colori e queste forme.
Henri, devi raggiungermi. Henri, è meraviglioso.
Pablo”
Henri svenne.
Aprì gli occhi. Un
turbinio di forme e colori indefiniti gli trafisse gli occhi. Davanti
a lui un tavolo con della frutta caduta, una tenda scostata, una
finestra che dava su delle case, in fondo uno specchio dove si
rifletteva il suo volto. Si girò. Una tela appesa al muro
raffigurava la sua stanza con il letto vuoto e le pile di libri sul
pavimento.
Urlò, si nascose sotto
il tavolo. Vi rimase per molto tempo in stato catatonico, forse ore,
forse giorni, forse secoli. “Henri, dovresti vedere
questi colori e queste forme.”
Si alzò in piedi, prese
uno dei frutti dal tavolo e lo morse. Tra i denti sentì una sostanza
morbida sciogliersi in bocca e potè distinguere nettamente il sapore
di giallo e di rosso. Annusò i fiori del vaso che lo costrinsero a
portarsi entrambe le mani sulle narici come a difendersi da una tale
fragranza mai annusata in precedenza, così piacevole da rimanerne
terrorizzato. Hernri pianse dalla gioia. Si spostò verso il
grammofono sul caminetto e lo mise in funzione. Dopo l'iniziale
gracchiare, un suono sconosciuto riempì le sue orecchie. Non c'era
melodia o armonia. Il contrappunto era inesistente e gli strumenti
indistinti. “Ciò che credevo certo si è rivelato
un'illusione.” Le ginocchia di Henri cedettero e cadde a peso
morto. Rialzatosi a fatica passò sotto la tenda scostata da una
corda e vide la sua figura allo specchio. Una serie di macchie
colorate definivano Henri. “Cosa ci spinge a credere in quello
che percepiamo?”
Aprì la finestra e si
affacciò. Un villaggio nebuloso circondava l'abitato, sull sfondo
delle montagne grigie si fondevano con il cielo. “Perché non
possiamo vedere la meraviglia che si nasconde dietro le geometrie
convenzionali?”
Era solo, esplorando i
vicoli informi del villaggio. Non c'erano abitanti, né porte, né
finestre. Dopo la foresta di edifici il mare, o l'oceano, o una vasta
distesa d'acqua mutaforme: blu, azzurro, celeste, bianco, spuma,
onde, vuoto, spazio siderale, solitudine.
Una figura emerse
lentamente dal colore: un enorme Octopus si ergeva davanti Henri,
paralizzato dalla gigantesca mostruosità. In un boccone lo divorò.
Picasso bussò alla
porta.
“Pablo, entra pure!”
“Cosa volevi farmi
vedere di così urgente?”
“La mia nuova opera. Si
chiama Interno con fonografo.”
Matisse fece accomodare
Picasso nell'altra stanza.
“Henri, è
meraviglioso!”
“Grazie Pablo, ma ora
ti devo raccontare un sogno che ho fatto qualche tempo fa....”
FINE
