mercoledì 13 aprile 2016

Nato Malvagio - racconto sulle origini del Male

 
Dopo essersi distaccata dall'autostrada, la strada che conduceva alla casa-vacanza per ragazzi con problemi psicomotori passava attraverso una zona collinare, lontana dalle grandi città. Pali della luce e qualche villa isolata erano gli unici elementi artificiali che correvano nel paesaggio. Un sole freddo di metà mattina illuminava l'utilitaria rossa. Isacco gettò la sigaretta fuori dal finestrino e diede un'occhiata a Gabriele, seduto sul sedile affianco, che lo guardò distrattamente come al solito per poi girarsi dall'altra parte. Isacco sorrise.
Entrati in un piccolo paese, alla vista di un bar Isacco accostò la macchina. Gabriele sceso dall'auto iniziò a far schioccare le dita e a saltellare gridando “Pipì! Pipì! Pipì!”
“Gabriele vieni! Qui c'è un bagno, mi raccomando trattieniti!”
Isacco prese per mano Gabriele e lo portò dentro il bar, foderato da assi di legno vecchie di almeno trent'anni e ricoperto da foto, cartelli, pubblicità e memorabilia così kitsch da rendere il tutto paradossalmente caratteristico.
“Un caffè e un bicchiere d'acqua per favore, intanto usiamo il bagno.”
“Serve la chiave...” replicò il vecchio e pesante barista con un forte accento rurale.

“Ma che ha il ragazzo? E' scemo?” Gabriele fissava il vuoto con la bocca aperta. Un goccio di saliva pendeva da un lato della bocca.
Isacco trattenne un vaffanculo ed allontanò la tazzina dalle labbra “No, è autistico. Lo sto portando al Rifugio Arcobaleno per una vacanza. Sono il suo accompagnatore, vero Gabriele?” Isacco asciugò la saliva con un tovagliolino e fece bere un po' d'acqua a Gabriele.
“Scusi...sa, qui di mongoloidi non se ne vedono tanti...non è che si è offeso?”
“...No, si figuri...” Isacco ora voleva proprio uscire “Mi potrebbe dire come raggiungere il Rifugio Arcobaleno? Manca molto?”
“Ma no! Sarà neanche un'ora di macchina. Continua dritto e al primo bivio prende la strada a sinistra che va a salire sulla montagna. Poi sceso dall'altra parte sempre dritto e se lo trova proprio davanti. Lì ci vado con le mie nipotine che ci sono le giostre...non sapevo che facevano le cose per i mongoloidi. Dice che ce le posso portare le nipotine con questi qui o è pericoloso?”
“...Penso di si, se sono ammaestrate.” Il pesante e inopportuno barista non capì la battuta. Meglio così, pensò Isacco.

La strada iniziò ad arrampicarsi sulla montagna. Gli alberi prima sparuti, poi sempre più fitti, presero il posto dello scarno paesaggio collinare. La luce del sole non riusciva a raggiungere il suolo ed era ancora più fredda, nonostante fosse passata l'ora di pranzo. Il corridoio di alberi fu interrotto dall'improvviso chiudersi delle pareti di roccia che ora stringevano la strada da tutte e due i lati. Cime grigie e austere svettavano sulla gola. Isacco si girò verso Gabriele, che lo stava fissando. Isacco deglutì mentre il suo scroto si raggrinziva e un brivido freddo correva lungo la schiena, Gabriele si girò. Le pareti di roccia lasciarono nuovamente spazio al corridoio di alberi.
Il Portale era stato varcato.

“Pipì! Pipi! Pipì!”
“Ma quanto dura questo cazzo di bosco?”
Scesi dalla macchina Isacco abbassò i pantaloni di Gabriele.
“Gabriele, stai attento e non farmela sulle mani, ok?”
Gabriele pisciò in silenzio.
Scrollò il pisello di Gabriele e tornarono verso la macchina. Una figura era ferma dall'altra parte della strada, comparsa dal nulla. Il corpo nudo coperto di sangue fresco e raggrumato, che cadeva a tocchi qua e là, martoriato da fratture multiple e scomposte assumeva una postura sbilenca, con le gambe piegate ad incrociarsi, il busto pendente da un lato e le braccia come affette da paraplegia. Il pene mutilato ciondolava attaccato ad un lembo di pelle. Attraverso un foro una corteccia inchiodata al volto rivelava un occhio sgranato, supplicante, sofferente, agonizzante.
Isacco si fermò immediatamente e si mise davanti Gabriele per proteggerlo. L'inquietudine che trasudava l'uomo con la maschera smorzò ogni parola di Isacco.
“...”
L'uomo con la maschera di corteccia allungò lentamente un braccio cremisi, indicando le spalle di Isacco, che meccanicamente si girò. Gabriele era sparito. Si rigirò di scatto. L'uomo con la maschera di corteccia non c'era più. Sudò freddo, guardò prima dentro e poi sotto l'automobile. Si mise le mani fra i capelli. Stava per piangere. Una serie di schiocchi di dita riecheggiarono innaturalmente tra gli alberi.
“Gabriele! Gabriele!”

Isacco vagava tra gli alberi a fatica incespicando. Il telefono non prendeva. Era solo.
“Gabriele! Gabriele!”
Anche se avesse sentito, come avrebbe potuto rispondere? Un sordo richiamo per uccelli.
Mille ipotesi paranoiche turbinavano: era finito in un fosso e si era rotto una gamba. Era stato attaccato da un animale selvatico e giaceva con l'intestino penzolante. Avrebbe vagato fino allo stremo delle forze morendo solo come una bestia...e poi l'uomo con la maschera di corteccia...era reale? Era un incubo ad occhi aperti?
Si fermò e guardò dietro di sé, realizzando che si era inoltrato troppo nel bosco, perdendosi. Si accasciò a terra in ginocchio e scoppiò in lacrime. Avrebbe ritrovato la strada? Sarebbe morto in quei boschi? Se fosse tornato cosa avrebbe raccontato? L'angoscia fu incontrollabile. Le lacrime bruciavano i bulbi oculari.
“Ciao.” Una voce.
Isacco si guardò intorno. Una ragazza si stava avvicinando con un bastardino al seguito.
“Ciao” imbarazzato si asciugò le lacrime “Credo di essermi perso” e abbozzò un sorriso ebete.
“Credo di essermi persa anche io e il cellulare non prende”
Il cane annusò Isacco scodinzolando e gli leccò il viso. Isacco si lasciò pervadere dal gesto di affetto puro e spontaneo, rincuorandosi e prendendo forza. Lo accarezzò. Era tiepido.
“Come si chiama?”
“Anubi”
“Anubi?!..Come il cane di Gabriele...” Isacco si alzò in piedi.
“Come scusa?”
“...No, scusa tu. Gabriele è il ragazzo autistico che era con me...prima di perdersi...Lo stavo accompagnando in macchina ad una casa-vacanza. Era sceso un attimo per fare pipì, ma è scomparso...lo sto cercando disperatamente.” Cercò di sorridere trattenendo le lacrime. Omise volontariamente la parte dell'uomo con la maschera di corteccia, non essendo sicuro che fosse un ricordo reale o meno, o perlomeno non voleva risultare pazzo alla prima impressione.
“Tu come ti chiami?”
“Mi chiamo Giuditta, abito da queste parti. Stavo facendo una passeggiata con il cane, ma mi sono persa.”
Isacco non fece parola del fatto che Giuditta era il nome della donna delle pulizie che lavorava a casa di Gabriele. Troppe coincidenze, in una situazione troppo assurda.

Vagavano nel bosco da ore. L'aria fredda e umida correva tra gli alberi ingrigiti dalla luce del crepuscolo.
Isacco osservò parecchio Giuditta. Avrà avuto vent'anni circa, ma in modo indefinito, avrebbe potuto averne quindici o trenta. La sua andatura tutto sommato regolare, aveva un non so che di meccanico e artefatto. Lo sguardo immutabile era come disegnato sul volto. Anubi la seguiva dritto per dritto come attaccato ad un filo, senza annusare freneticamente il bosco come avrebbe fatto un normale cane. Isacco si teneva ad una certa distanza pervaso da una leggera inquietudine.
“Hai detto che abiti qui vicino, vero? Dove di preciso?”
“In un piccolo paese.”
“Come si chiama?”
“Moria.”
Isacco deglutì. Moria era il paese di montagna dove la famiglia di Gabriele aveva una casa per le vacanze...e non si trovava da quelle parti. Un'idea assurda cominciò a svilupparsi nella mente di Isacco.

Il rifugio era illuminato a malapena dalla luce del crepuscolo. Era interamente in legno, di forma squadrata; sul tetto spiovente faceva capolino la canna fumaria di un camino da cui usciva del fumo. Su un lato era disposta ordinatamente della legna protetta da una tettoia. Una fioca luce rossa si intravedeva dalle piccole finestre.

Lupacchio il Taglialegna viveva in una casetta in legno sulla montagna...

“Finalmente! Giuditta, proviamo a bussare.”
Nessuno aprì la porta. I due aspettarono. La poca luce del sole rendeva visibile solo il bianco delle pupille di Giuditta, così bianche, così strane. Anubi era immobile.
“Io entro.” Disse Giuditta, girò la maniglia ed aprì la porta.

Lupacchio abbatteva gli alberi con la sua ascia, poi li faceva a pezzi e caricava la legna dentro un grande cesto che si metteva sulle spalle...

L'interno era costituito da un'unica stanza. Pelli di animali tappezzavano il pavimento e i muri, illuminate dalla calda e fioca luce dei tizzoni ardenti del camino. Giuditta vi gettò un ciocco di legno e lo attizzò soffiando dentro una canna di metallo brunito e Anubi si accucciò su una pelle davanti il tepore delle fiamme.
“Che fai Giuditta...”
“Preparo la casa in attesa del ritorno del padrone.”
Isacco fissò ipnotizzato il fuoco e si accorse che delle piccole ossa spuntavano dalla cenere.

Lupacchio procedeva a passi pesanti verso casa, trascinando la rete carica delle sue prede. Piangevano, pregavano, supplicavano. Lupacchio li sentiva, ma sapeva che presto avrebbero taciuto, perché a lui piaceva la carne morbida...

“Qualcuno si sta avvicinando...”
“Non avere paura.” Con voce monotona.
Lupacchio fece cadere il suo carico di legna sotto la tettoia. Prese l'ascia ed entrò, in tutta la sua imponenza.
Isacco ebbe una stretta in gola e gli si chiuse lo stomaco.
“Salve, mi chiamo Isacco, ci siamo persi...”
Poi vide il carico dell'enorme uomo barbuto ricoperto di pelli e armato di ascia. Un ammasso di bambini tra i tre e i cinque anni si contorcevano in una rete di canapa dalle grosse corde intrecciate. Gemevano con le lacrime agli occhi, alcuni mugugnavano ricoperti da escoriazioni sanguinanti, altri erano forse morti, forse svenuti. Isacco conosceva quell'uomo. Era Lupacchio.

“Così Lupacchio si preparò a cucinare i bambini del villaggio, ma il più coraggioso si finse morto e quando il taglialegna stava affilando la sua ascia, con tutte le sue forze lo spinse nel fuoco dove bruciò in pochi istanti. Così liberò i suoi amichetti che tornarono al villaggio dalle loro mamme e papà! Ti è piaciuta questa storia Gabriele?”
Gabriele fissava il vuoto, desiderando come ogni volta che Isacco gli raccontava quella favola, che i bambini fossero trucidati da Lupacchio.

“Te l'ho detto Isacco, non devi avere paura, vogliamo solo farti a pezzi, smembrarti, strapparti la pelle e cavarti gli occhi. Sarà una lunga agonia per te, ma sarà divertente.” proferì Giuditta calma e serafica.
“Co...cosa?”
Anubi ringhiava verso Isacco e si gonfiò come un pallone. La pelle si lacerò e il pelo si macchiò di sangue marrone ribollente, prendendo la forma di un aborto dentato che si avvicinava minacciosamente. Isacco cercò di scappare, ma riuscì solamente a chiudersi in un angolo. L'essere informe si avvinghiò intorno alle caviglie e salì verso i polpacci lacerandoli con artigli e denti. Lupacchio lo afferrò e lo sbatté sul tavolaccio di legno, bloccandolo per le spalle per permettere all'aborto di carne e peli di incollare letteralmente le gambe martoriate di Isacco al legno con il la sua consistenza molliccia. I bambini nella rete si erano fusi in un ammasso di bocche e occhi, intonando una litania di lamenti e gorgoglii che raggelò il sangue di Isacco. Giuditta afferrò un lungo coltello avvicinandosi con movimenti scomposti e meccanici. La bocca si aprì fino a strappare le guance, distaccando la parte superiore della testa che cadde a terra pesantemente. Una lunga lingua scarlatta serpeggiò freneticamente dalla gola dimenandosi nell'aria. Isacco urlava terrorizzato mentre il mostro dalla lingua saettante gli provocava dei profondi tagli su tutto il corpo. La tortura andò avanti per parecchio tempo, fino a quando il demone afferrò i capelli dell'uomo cominciando ad incidere il collo. Isacco solo a quel punto pronunciò poche e flebili parole: “Gabriele...perché mi fai questo?”
Il demone si fermò meccanicamente ed interruppe la decapitazione svanendo, la melma purulenta che gli bloccava le gambe si sciolse ed il taglialegna diventò polvere. Le pareti della casa caddero ed il tetto ascese verso l'infinito. Il corpo sanguinante di Isacco levitò a mezz'aria e fu imprigionato da lunghi rovi di ferro arruginito provenienti dal bosco deforme che gli lacerarono i muscoli. Il cielo nero come la pece lo illuminava con una fluorescenza malata.
Gabriele apparve nella radura e parlò.
“Isacco, provi dolore?”
“...si...tanto...”
“Hai paura?”
“...ti prego, basta...basta...”
“No Isacco, non mi fermerò. Tu ora morirai tra atroci sofferenze.”
“...perché?...cosa ti ho fatto?...”
“Non mi hai fatto niente, Isacco. Voglio solo divertirmi. Voglio solo giocare.”
I rovi di ferro mollarono la presa, ma solo per afferrare meglio le ossa di Isacco per romperle in maniera scomposta: braccia, gambe, costole. Fecero a brandelli ciò che rimaneva degli abiti ed un rovo saettò nell'aria tranciando quasi di netto il pene di Isacco. Un altro gli si infilò in bocca maciullando lingua, denti e muscoli. Una corteccia schiacciò il suo volto e dei chiodi la bloccarono conficcandosi nelle ossa facciali. Buio.

Isacco era in piedi dolorante, grondante sangue. Istintivamente si trascinò avanti per cercare aiuto e raggiunse una strada asfaltata. A pochi metri c'era la sua macchina e lì vicino vide sé stesso con Gabriele. Si fissarono, cercò di parlare, ma non poteva. L'unica cosa che fece fu alzare a fatica il braccio indicando il Male. Gabriele sorrise e svanì nel nulla. Buio.

La polizia trovò l'automobile di Isacco nei boschi e poche ore dopo Gabriele che vagava sulla strada per il Rifugio Arcobaleno. Il corpo devastato di Isacco non fu mai rinvenuto. Concimò l'erba e i fiori dei boschi dove morì, vittima di un gioco sadico a cui prese parte per puro caso.
Il male germoglia nei luoghi più inaspettati. Si nasconde latente e innocuo, manifestando il proprio orrore con estrema violenza al momento giusto, per poi sopirsi in attesa di una nuova occasione.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...