Dopo essersi distaccata
dall'autostrada, la strada che conduceva alla casa-vacanza per
ragazzi con problemi psicomotori passava attraverso una zona
collinare, lontana dalle grandi città. Pali della luce e qualche
villa isolata erano gli unici elementi artificiali che correvano nel
paesaggio. Un sole freddo di metà mattina illuminava l'utilitaria
rossa. Isacco gettò la sigaretta fuori dal finestrino e diede
un'occhiata a Gabriele, seduto sul sedile affianco, che lo guardò
distrattamente come al solito per poi girarsi dall'altra parte.
Isacco sorrise.
Entrati in un piccolo
paese, alla vista di un bar Isacco accostò la macchina. Gabriele
sceso dall'auto iniziò a far schioccare le dita e a saltellare
gridando “Pipì! Pipì! Pipì!”
“Gabriele vieni! Qui
c'è un bagno, mi raccomando trattieniti!”
Isacco prese per mano
Gabriele e lo portò dentro il bar, foderato da assi di legno vecchie
di almeno trent'anni e ricoperto da foto, cartelli, pubblicità e
memorabilia così kitsch da rendere il tutto paradossalmente
caratteristico.
“Un caffè e un
bicchiere d'acqua per favore, intanto usiamo il bagno.”
“Serve la chiave...”
replicò il vecchio e pesante barista con un forte accento rurale.
“Ma che ha il ragazzo?
E' scemo?” Gabriele fissava il vuoto con la bocca aperta. Un goccio
di saliva pendeva da un lato della bocca.
Isacco trattenne un
vaffanculo ed allontanò la tazzina dalle labbra “No, è autistico.
Lo sto portando al Rifugio Arcobaleno per una vacanza. Sono il suo
accompagnatore, vero Gabriele?” Isacco asciugò la saliva con un
tovagliolino e fece bere un po' d'acqua a Gabriele.
“Scusi...sa, qui di
mongoloidi non se ne vedono tanti...non è che si è offeso?”
“...No, si figuri...”
Isacco ora voleva proprio uscire “Mi potrebbe dire come raggiungere
il Rifugio Arcobaleno? Manca molto?”
“Ma no! Sarà neanche
un'ora di macchina. Continua dritto e al primo bivio prende la strada
a sinistra che va a salire sulla montagna. Poi sceso dall'altra parte
sempre dritto e se lo trova proprio davanti. Lì ci vado con le mie
nipotine che ci sono le giostre...non sapevo che facevano le cose per
i mongoloidi. Dice che ce le posso portare le nipotine con questi qui
o è pericoloso?”
“...Penso di si, se
sono ammaestrate.” Il pesante e inopportuno barista non capì la
battuta. Meglio così, pensò Isacco.
La strada iniziò ad
arrampicarsi sulla montagna. Gli alberi prima sparuti, poi sempre più
fitti, presero il posto dello scarno paesaggio collinare. La luce del
sole non riusciva a raggiungere il suolo ed era ancora più fredda,
nonostante fosse passata l'ora di pranzo. Il corridoio di alberi fu
interrotto dall'improvviso chiudersi delle pareti di roccia che ora
stringevano la strada da tutte e due i lati. Cime grigie e austere
svettavano sulla gola. Isacco si girò verso Gabriele, che lo
stava fissando. Isacco deglutì mentre il suo scroto si
raggrinziva e un brivido freddo correva lungo la schiena, Gabriele si
girò. Le pareti di roccia lasciarono nuovamente spazio al corridoio
di alberi.
Il Portale era stato
varcato.
“Pipì! Pipi! Pipì!”
“Ma quanto dura questo
cazzo di bosco?”
Scesi dalla macchina
Isacco abbassò i pantaloni di Gabriele.
“Gabriele, stai attento
e non farmela sulle mani, ok?”
Gabriele pisciò in
silenzio.
Scrollò il pisello di
Gabriele e tornarono verso la macchina. Una figura era ferma
dall'altra parte della strada, comparsa dal nulla. Il
corpo nudo coperto di sangue fresco e raggrumato, che cadeva a tocchi
qua e là, martoriato da fratture multiple e scomposte assumeva una
postura sbilenca, con le gambe piegate ad incrociarsi, il busto
pendente da un lato e le braccia come affette da paraplegia. Il pene
mutilato ciondolava attaccato ad un lembo di pelle. Attraverso un
foro una corteccia inchiodata al volto rivelava un occhio sgranato,
supplicante, sofferente, agonizzante.
Isacco si fermò
immediatamente e si mise davanti Gabriele per proteggerlo.
L'inquietudine che trasudava l'uomo con la maschera smorzò ogni
parola di Isacco.
“...”
L'uomo
con la maschera di corteccia allungò lentamente un braccio
cremisi, indicando le spalle di Isacco, che meccanicamente si girò.
Gabriele era sparito. Si rigirò di scatto. L'uomo
con la maschera di corteccia non c'era più. Sudò freddo,
guardò prima dentro e poi sotto l'automobile. Si mise le mani fra i
capelli. Stava per piangere. Una serie di schiocchi di dita
riecheggiarono innaturalmente tra gli alberi.
“Gabriele! Gabriele!”
Isacco vagava tra gli
alberi a fatica incespicando. Il telefono non prendeva. Era solo.
“Gabriele! Gabriele!”
Anche
se avesse sentito, come avrebbe potuto rispondere? Un sordo
richiamo per uccelli.
Mille ipotesi paranoiche
turbinavano: era finito in un fosso e si era rotto una gamba. Era
stato attaccato da un animale selvatico e giaceva con l'intestino
penzolante. Avrebbe vagato fino allo stremo delle forze morendo solo
come una bestia...e poi l'uomo con la maschera di corteccia...era
reale? Era un incubo ad occhi aperti?
Si fermò e guardò
dietro di sé, realizzando che si era inoltrato troppo nel bosco,
perdendosi. Si accasciò a terra in ginocchio e scoppiò in lacrime.
Avrebbe ritrovato la strada? Sarebbe morto in quei boschi? Se fosse
tornato cosa avrebbe raccontato? L'angoscia fu incontrollabile. Le
lacrime bruciavano i bulbi oculari.
“Ciao.” Una voce.
Isacco si guardò
intorno. Una ragazza si stava avvicinando con un bastardino al
seguito.
“Ciao” imbarazzato si
asciugò le lacrime “Credo di essermi perso” e abbozzò un
sorriso ebete.
“Credo di essermi persa
anche io e il cellulare non prende”
Il cane annusò Isacco
scodinzolando e gli leccò il viso. Isacco si lasciò pervadere dal
gesto di affetto puro e spontaneo, rincuorandosi e prendendo forza.
Lo accarezzò. Era tiepido.
“Come si chiama?”
“Anubi”
“Anubi?!..Come il cane
di Gabriele...” Isacco si alzò in piedi.
“Come scusa?”
“...No, scusa tu.
Gabriele è il ragazzo autistico che era con me...prima di
perdersi...Lo stavo accompagnando in macchina ad una casa-vacanza.
Era sceso un attimo per fare pipì, ma è scomparso...lo sto cercando
disperatamente.” Cercò di sorridere trattenendo le lacrime. Omise
volontariamente la parte dell'uomo
con la maschera di corteccia, non essendo sicuro che
fosse un ricordo reale o meno, o perlomeno non voleva risultare pazzo
alla prima impressione.
“Tu come ti chiami?”
“Mi chiamo Giuditta,
abito da queste parti. Stavo facendo una passeggiata con il cane, ma
mi sono persa.”
Isacco non fece parola
del fatto che Giuditta era il nome della donna delle pulizie che
lavorava a casa di Gabriele. Troppe coincidenze, in una situazione
troppo assurda.
Vagavano nel bosco da
ore. L'aria fredda e umida correva tra gli alberi ingrigiti dalla
luce del crepuscolo.
Isacco osservò parecchio
Giuditta. Avrà avuto vent'anni circa, ma in modo indefinito, avrebbe
potuto averne quindici o trenta. La sua andatura tutto sommato
regolare, aveva un non so che di meccanico e artefatto. Lo sguardo
immutabile era come disegnato sul volto. Anubi la seguiva dritto per
dritto come attaccato ad un filo, senza annusare freneticamente il
bosco come avrebbe fatto un normale cane. Isacco si teneva ad una
certa distanza pervaso da una leggera inquietudine.
“Hai detto che abiti
qui vicino, vero? Dove di preciso?”
“In un piccolo paese.”
“Come si chiama?”
“Moria.”
Isacco deglutì. Moria
era il paese di montagna dove la famiglia di Gabriele aveva una casa
per le vacanze...e non si trovava da quelle parti. Un'idea
assurda cominciò a svilupparsi nella mente di Isacco.
Il rifugio era illuminato
a malapena dalla luce del crepuscolo. Era interamente in legno, di
forma squadrata; sul tetto spiovente faceva capolino la canna fumaria
di un camino da cui usciva del fumo. Su un lato era disposta
ordinatamente della legna protetta da una tettoia. Una fioca luce
rossa si intravedeva dalle piccole finestre.
Lupacchio il
Taglialegna viveva in una casetta in legno sulla montagna...
“Finalmente! Giuditta,
proviamo a bussare.”
Nessuno aprì la porta. I
due aspettarono. La poca luce del sole rendeva visibile solo il
bianco delle pupille di Giuditta, così bianche, così strane. Anubi
era immobile.
“Io entro.” Disse
Giuditta, girò la maniglia ed aprì la porta.
Lupacchio abbatteva
gli alberi con la sua ascia, poi li faceva a pezzi e caricava la
legna dentro un grande cesto che si metteva sulle spalle...
L'interno
era costituito da un'unica stanza. Pelli di animali tappezzavano il
pavimento e i muri, illuminate dalla calda e fioca luce dei tizzoni
ardenti del camino. Giuditta vi gettò un ciocco di legno e lo
attizzò soffiando dentro una canna di metallo brunito e Anubi si
accucciò su una pelle davanti il tepore delle fiamme.
“Che
fai Giuditta...”
“Preparo
la casa in attesa del ritorno del padrone.”
Isacco
fissò ipnotizzato il fuoco e si accorse che delle piccole ossa
spuntavano dalla cenere.
Lupacchio procedeva a
passi pesanti verso casa, trascinando la rete carica delle sue prede.
Piangevano, pregavano, supplicavano. Lupacchio li sentiva, ma sapeva
che presto avrebbero taciuto, perché a lui piaceva la carne
morbida...
“Qualcuno si sta
avvicinando...”
“Non avere paura.”
Con voce monotona.
Lupacchio fece cadere il
suo carico di legna sotto la tettoia. Prese l'ascia ed entrò, in
tutta la sua imponenza.
Isacco ebbe una stretta
in gola e gli si chiuse lo stomaco.
“Salve, mi chiamo
Isacco, ci siamo persi...”
Poi vide il carico
dell'enorme uomo barbuto ricoperto di pelli e armato di ascia. Un
ammasso di bambini tra i tre e i cinque anni si contorcevano in una
rete di canapa dalle grosse corde intrecciate. Gemevano con le
lacrime agli occhi, alcuni mugugnavano ricoperti da escoriazioni
sanguinanti, altri erano forse morti, forse svenuti. Isacco conosceva
quell'uomo. Era Lupacchio.
“Così Lupacchio si
preparò a cucinare i bambini del villaggio, ma il più coraggioso si
finse morto e quando il taglialegna stava affilando la sua ascia, con
tutte le sue forze lo spinse nel fuoco dove bruciò in pochi istanti.
Così liberò i suoi amichetti che tornarono al villaggio dalle loro
mamme e papà! Ti è piaciuta questa storia Gabriele?”
Gabriele fissava il
vuoto, desiderando come ogni volta che Isacco gli raccontava quella
favola, che i bambini fossero trucidati da Lupacchio.
“Te l'ho detto Isacco,
non devi avere paura, vogliamo solo farti a pezzi, smembrarti,
strapparti la pelle e cavarti gli occhi. Sarà una lunga agonia per
te, ma sarà divertente.” proferì Giuditta calma e serafica.
“Co...cosa?”
Anubi ringhiava verso
Isacco e si gonfiò come un pallone. La pelle si lacerò e il pelo si
macchiò di sangue marrone ribollente, prendendo la forma di un
aborto dentato che si avvicinava minacciosamente. Isacco cercò di
scappare, ma riuscì solamente a chiudersi in un angolo. L'essere
informe si avvinghiò intorno alle caviglie e salì verso i polpacci
lacerandoli con artigli e denti. Lupacchio lo afferrò e lo sbatté
sul tavolaccio di legno, bloccandolo per le spalle per permettere
all'aborto di carne e peli di incollare letteralmente le gambe
martoriate di Isacco al legno con il la sua consistenza molliccia. I
bambini nella rete si erano fusi in un ammasso di bocche e occhi,
intonando una litania di lamenti e gorgoglii che raggelò il sangue
di Isacco. Giuditta afferrò un lungo coltello avvicinandosi con
movimenti scomposti e meccanici. La bocca si aprì fino a strappare
le guance, distaccando la parte superiore della testa che cadde a
terra pesantemente. Una lunga lingua scarlatta serpeggiò
freneticamente dalla gola dimenandosi nell'aria. Isacco urlava
terrorizzato mentre il mostro dalla lingua saettante gli provocava
dei profondi tagli su tutto il corpo. La tortura andò avanti per
parecchio tempo, fino a quando il demone afferrò i capelli dell'uomo
cominciando ad incidere il collo. Isacco solo a quel punto pronunciò
poche e flebili parole: “Gabriele...perché mi fai questo?”
Il demone si fermò
meccanicamente ed interruppe la decapitazione svanendo, la melma
purulenta che gli bloccava le gambe si sciolse ed il taglialegna
diventò polvere. Le pareti della casa caddero ed il tetto ascese
verso l'infinito. Il corpo sanguinante di Isacco levitò a mezz'aria
e fu imprigionato da lunghi rovi di ferro arruginito provenienti dal
bosco deforme che gli lacerarono i muscoli. Il cielo nero come la
pece lo illuminava con una fluorescenza malata.
Gabriele apparve nella
radura e parlò.
“Isacco, provi dolore?”
“...si...tanto...”
“Hai paura?”
“...ti prego,
basta...basta...”
“No Isacco, non mi
fermerò. Tu ora morirai tra atroci sofferenze.”
“...perché?...cosa ti
ho fatto?...”
“Non mi hai fatto
niente, Isacco. Voglio solo divertirmi. Voglio solo giocare.”
I rovi di ferro mollarono
la presa, ma solo per afferrare meglio le ossa di Isacco per romperle
in maniera scomposta: braccia, gambe, costole. Fecero a brandelli ciò
che rimaneva degli abiti ed un rovo saettò nell'aria tranciando
quasi di netto il pene di Isacco. Un altro gli si infilò in bocca
maciullando lingua, denti e muscoli. Una corteccia schiacciò il suo
volto e dei chiodi la bloccarono conficcandosi nelle ossa facciali.
Buio.
Isacco era in piedi
dolorante, grondante sangue. Istintivamente si trascinò avanti per
cercare aiuto e raggiunse una strada asfaltata. A pochi metri c'era
la sua macchina e lì vicino vide sé stesso con Gabriele. Si
fissarono, cercò di parlare, ma non poteva. L'unica cosa che fece fu
alzare a fatica il braccio indicando il Male. Gabriele sorrise
e svanì nel nulla. Buio.
La polizia trovò
l'automobile di Isacco nei boschi e poche ore dopo Gabriele che
vagava sulla strada per il Rifugio Arcobaleno. Il corpo devastato di
Isacco non fu mai rinvenuto. Concimò l'erba e i fiori dei boschi
dove morì, vittima di un gioco sadico a cui prese parte per puro
caso.
Il male germoglia nei
luoghi più inaspettati. Si nasconde latente e innocuo, manifestando
il proprio orrore con estrema violenza al momento giusto, per poi
sopirsi in attesa di una nuova occasione.
