“Marescià, me deve crede, l'ho vistu
co' l'occhi mia!” frignò Antonio tra le lacrime seduto sulla
vecchia sedia di legno della questura di Capestro.
“Antò, datte 'na calmata sennò te
do 'na cinquina che t'appiccico a lu muro” ringhiò il maresciallo
Scatenna che circa trent'anni prima fece da padrino al battesimo di
Antonio.
“Era 'n'omo, ma c'aveva pure er pelo
sulla faccia e le corna e le foje, puzzava de pecora marescià!
Puzzava de letame e de stalla...e poi gridava come le bestie, come lu
maiale, come li cani e l'animali delle montagne, ma pure come li
cristiani!...” poi scoppiò a piangere, versando muco e saliva
sulla sue scarpe Nike bianche sporche di terra.
Fu circa due anni prima della strage
dei Campi delle Fragola che si iniziò a parlare dell'Uomo Bestia nei
dintorni di Capestro. Furono per primi i cacciatori ad avvertire dei
versi anomali provenienti dal bosco, mai sentiti prima neanche dai
più vecchi, che diedero ore ed ore di discussione le sere al bar
durante la stagione della caccia. Poi dai campi scout venivano voci
di strani avvistamenti di “cervi su due zampe” o “uomini
scimmia” che iniziarono a popolare improvvisamente la catena
montuosa, fino a poco tempo prima abitata da semplici falchetti e
monotoni cavalli da allevamento, accompagnati da violente uccisioni
del bestiame lasciato a pascolare libero. Poi i primi attacchi: sassi
contro i parabrezza, accampamenti divelti, strade bloccate dai
detriti, escursionisti strattonati, tutti conditi da incontri
ravvicinati con creature bestiali non identificate. Le autorità non
diedero peso alle segnalazioni fino a quando non cominciarono a
sparire le prime persone, apparentemente non collegate tra loro. Fino
a quel momento gli scomparsi ufficiali ammontavano a tredici.
La pallonata riecheggiò nell'altopiano
“Ma che lo vòi buttà giù
quell'albero?” gridò Antonio disteso sull'erba con una birra in
mano.
“Ce faccio un buco e poi ce piscio
dentro!” ridacchiò Gabriele detto Torello per il suo temperamento
impulsivo, intento a riprendere la palla del discount.
“Torè! Non parlà così, sei proprio
'no schifoso!” si lamentò Maria mentre cambiava dall'autoradio la
traccia audio del cd di Vasco fatto in casa. “Cumpà, 'sto pezzo me
fa morì” ed ondeggiò la testa seguendo la ballata.
“Siamo solo Noi!” Tra gli
alberi il suono del Blasco ritmato dalle pallonate. Un poderoso rutto
si unì alla band.
Sara si alzò dal prato scrollando il
suo vestitino Desigual “Non è possibile!”.
“Dai Sara, se ti concentri sul volo
degli uccelli tutto svanisce. Non senti l'energia della terra?”
Daniele fece cenno a Sara di passargli la canna mentre si toglieva da
davanti alla faccia i suoi dreadlocks.
“Si si la sento, qui l'incrocio
energetico è veramente forte, ma con questi rompicoglioni non riesco
proprio a rilassarmi...e poi Chandrasurya continua ad
abbaiare...amore!” Il chiuahua guardò per un attimo la padrona,
poi riprese ad abbaiare. “Io ci vado a parlare”.
I due si avvicinarono al gruppo.
“Ragazzi, scusate se vi disturbo, ma
stiamo cercando di rilassarci e con il casino che fate è
impossibile.”
“E che stamo a fa? Stamo solo a giocà
a pallone e a sentì un po' de musica.” si difese Torello.
“Secondo voi allora è normale? E poi
guardate quanta spazzatura!” Il prato era ricoperto di bottiglie e
cartacce, che col vento si spargevano a diversi metri di distanza.
“Oh, il cane tuo c'ha pisciato sul
plaid!” Maria si alzò in piedi di scatto cercando di allontanare a
calci Chandrasurya che le abbaiò contro..
“Se lo tocchi ti ammazzo, stronza!”
Daniele si mise in mezzo “Sara stai
calma! Ragazzi per favore, cerchiamo di convivere in pace in questo
luogo bellissimo.”
“Ma che è 'na parucca quella?”
Chiese Antonio ridendo.
“Guarda neanche ti rispondo.”
“Daniele, dov'è finito
Chandrasurya?”
“Era qui...eccolo!” Chandrasurya si
stava dirigendo di corsa verso il bosco all'inseguimento di una
cornacchia. Sara e Daniele lo rincorsero.
Le indagini dopo le sparizioni
portarono a Ettore Pallesco, un abitante di Capestro solitario e
strano, almeno a detta degli abitanti. Figlio di contadini deceduti
da diversi anni, abitava una casetta in pietra vicino al suo terreno,
guadagnava qualche soldo facendo lavoretti di manutenzione nel paese
e coltivava il suo orto. Non frequentava i bar del paese e non andava
in chiesa: un comportamento inconcepibile per i paesani.
Quando i carabinieri andarono da Ettore
trovarono la casa disabitata. Porte e finestre non erano state chiuse
ed evidentemente degli animali erano entrati dentro come rifugio.
Niente di particolare colpì i militari, ma andando dietro la casa
fecero una scoperta inquietante. Un altare fatto di sassi e ossa
animali era situato al centro di uno spiazzo erboso, nascosto dalla
vista dei pochi passanti sulla strada sterrata che conduceva a casa
Pallesco. Quello che risultò dallo studio dell'altare, fu che non
era di recente costruzione, anche se per gli scarsi mezzi dei
carabinieri di Capestro fu impossibile risalire ad una collocazione
temporale. Scavando intorno all'altare furono ritrovate migliaia di
ossa animali. L'assenza di ossa umane impedì al maresciallo Scatenna
di richiedere rinforzi investigativi, ma a quel punto era certo di
chi fosse il responsabile delle sparizioni.
Un urlo disperato irruppe dal bosco.
“Antò, hai sentito?”
“Torè, piglia lu fucile in macchina,
'namo a vede! Marì, vieni pure te.”
I tre si diressero di corsa seguendo il
tragitto di Sara e Daniele, raggiungendoli in una piccola radura.
Sara era china a terra in lacrime, sotto di lei il cadavere dilaniato
di Chandrasurya.
“Noooooo, odddio noooooo! Che cazzo!”
“Sara, sarà stato qualche lupo.
E' la legge della natura.”
“Ma che cazzo dici Daniele?! Stai
zitto se devi dire stronzate!” Daniele stette zitto.
“Cumpà, tuttapposto?” chiese
Antonio avvicinandosi.
“Apposto un cazzo! Mi hanno
ammazzoato il cane!”
“Cumpà, venite a vede, er cane è
tutto spappulato. Ce mancano pure le zampe de dietro!”
“Madò, che schifezza, me fa vomità!”
si lamentò Maria.
“Zitti, cazzo! Zitti! E andatevene
affanculo!” urlò isterica Sara, quando fu lei stessa zittita da un
grugnito proveniente dagli arbusti, seguito da un verso bestiale che
riecheggiò nelll'aria. Poi comparve in tutto il suo orrore: possente
si ergeva su due zampe munite di zoccoli, alto più di due metri,
lunghi artigli sulle poderose zampe anteriori, ispide setole nere
crescevano fino alla testa, sormontata da corna simili ai palchi dei
cervi maschi adulti. Era ricoperto di foglie secche e pellicce
animali di lupi, orsi, cinghiali e crini di cavallo, che componevano
un primordiale e maestoso vestito dal quale spuntava una lunga coda.
Ma fu il suo volto a riempire di terrore le menti e i cuori
degli osservatori...il muso, seppur provvisto di grosse fauci e folta
peluria, era di sicure fattezze umanoidi, anzi...umane. Le
pupille nere come il vuoto cosmico.
“Torè! Spara!”
Maria urlò.
“Antò non se carica!”
“Ragazzi, fermi ha più paura lui di
noi.” Daniele si frappose davanti la creatura.
“Sparate cazzo! Mi ha ammazzato il
cane cazzo!”
L'Uomo Bestia partì alla carica
afferrando Daniele alle spalle. Torello sparò i due colpi della
doppietta che presero in pieno il petto e l'addome di Daniele, che
morì quasi immediatamente poco prima di essere letteralmente
strappato in due dall'Uomo Bestia, Antonio cominciò a scappare
pisciandosi addosso, mentre alle sue spalle sentì le urla disperate
dei suo compagni di sventura, seguite da quei rumori di mattatoio
che non dimenticò mai più per il resto della sua vita.
Con il muco che gli colava in bocca e i
pantaloni fradici di urina raggiunse la macchina, mise in moto e
partì. Dallo specchietto retrovisore vide l'Uomo Bestia che
l'inseguiva galoppando a quattro zampe, per poi terminare la sua
cavalcata feroce rendendosi conto che ormai l'aveva perso. Un verso
bestiale ma anche umano esplose da quella bocca blasfema:
“CARNEEEEEEEEEE!”
La carneficina ebbe una eco
internazionale talmente forte, che nelle ore successive furono
inviati mezzi civili e militari per battere la zona in cerca del
“Macellaio di Capestro” (così fu battezzato l'assassino dalle
testate giornalistiche). La storia di Antonio fu omessa, così come
la sua identità, che però era ben nota a Capestro; in poche ore i
paesani vennero a sapere la sua incredible versione, che lo condannò
all'emarginazione.
Gli investigatori non riuscirono a
trovare un granché, solo il terzo giorno fu fatta una scoperta
eclatante, tenuta però accuratamente nascosta. In una grotta situata
in una zona impervia tra le montagne, furono trovati segni di
presenza umana, anche se “umana” non è la parola giusta. Del
diametro di circa tre metri e lunga dieci, appestata da un olezzo
nauseabondo, era ricoperta di ossa e pelle, animali e umane, che in
seguito agli esami si rivelarono appartenere alle persone scomparse e
ad altre sconosciute. Sparsi in giro c'erano i vestiti, qualche
effetto personale e soprattutto i documenti di Ettore Pallesco. Fu in
fondo alla grotta però che fu fatta la scoperta più terribile e
mostruosa, che fece rabbrividire gli investigatori. Un altare di
sassi e ossa si ergeva nella parte più buia e profonda, su di esso
erano stese delle pelli rinsecchite, sette in tutto, ognuna più
grande di quella sottostante. Presentavano uno strappo sulla schiena,
come delle mute del serpente...ma di
forma quasi umana.
L'ultima muta, quella più grande, presentava una forma abominevole
che le menti dei presenti rifiutarono di accettare.
Il maresciallo Scatenna riconobbe
l'altare ed in quel preciso momento capì che il suo istinto non si
sbagliava. Era Ettore Pallesco il colpevole, anzi, quello che
Ettore Pallesco era diventato.
Dopo il clamore iniziale e la fine
dell'estate, i media smisero di interessarsi al caso. La grotta
insieme al suo contenuto fu fatta saltare in aria con delle cariche
esplosive, le strade che conducevano ai boschi furono chiuse, fino a
diventare impraticabili con il passare degli anni. I pascoli furono
spostati a valle, così come le zone di caccia, e a parte qualche
esploratore sparuto, nessuno si avventurò più sulle montagne
intorno a Capestro. Non ci furono più attacchi o avvistamenti
insoliti.
L'Uomo Bestia corre tra gli alberi con
il vento che sibila tra le fauci. Figlio della Terra, servo del Cielo
Stellato, Fratello e Carnefice del Lupo e del Cervo, Custode dei
Segreti della Vita e della Morte. L'Istinto è il suo unico padrone e
signore e per suo volere agisce all'infuori del Bene e del Male.
Un dio si è fatto
carne.
FINE
