giovedì 6 agosto 2015

L'Uomo Bestia (The Beast Man) - racconto di boschi e sangue

“Marescià, me deve crede, l'ho vistu co' l'occhi mia!” frignò Antonio tra le lacrime seduto sulla vecchia sedia di legno della questura di Capestro.
“Antò, datte 'na calmata sennò te do 'na cinquina che t'appiccico a lu muro” ringhiò il maresciallo Scatenna che circa trent'anni prima fece da padrino al battesimo di Antonio.
“Era 'n'omo, ma c'aveva pure er pelo sulla faccia e le corna e le foje, puzzava de pecora marescià! Puzzava de letame e de stalla...e poi gridava come le bestie, come lu maiale, come li cani e l'animali delle montagne, ma pure come li cristiani!...” poi scoppiò a piangere, versando muco e saliva sulla sue scarpe Nike bianche sporche di terra.

Fu circa due anni prima della strage dei Campi delle Fragola che si iniziò a parlare dell'Uomo Bestia nei dintorni di Capestro. Furono per primi i cacciatori ad avvertire dei versi anomali provenienti dal bosco, mai sentiti prima neanche dai più vecchi, che diedero ore ed ore di discussione le sere al bar durante la stagione della caccia. Poi dai campi scout venivano voci di strani avvistamenti di “cervi su due zampe” o “uomini scimmia” che iniziarono a popolare improvvisamente la catena montuosa, fino a poco tempo prima abitata da semplici falchetti e monotoni cavalli da allevamento, accompagnati da violente uccisioni del bestiame lasciato a pascolare libero. Poi i primi attacchi: sassi contro i parabrezza, accampamenti divelti, strade bloccate dai detriti, escursionisti strattonati, tutti conditi da incontri ravvicinati con creature bestiali non identificate. Le autorità non diedero peso alle segnalazioni fino a quando non cominciarono a sparire le prime persone, apparentemente non collegate tra loro. Fino a quel momento gli scomparsi ufficiali ammontavano a tredici.

La pallonata riecheggiò nell'altopiano
“Ma che lo vòi buttà giù quell'albero?” gridò Antonio disteso sull'erba con una birra in mano.
“Ce faccio un buco e poi ce piscio dentro!” ridacchiò Gabriele detto Torello per il suo temperamento impulsivo, intento a riprendere la palla del discount.
“Torè! Non parlà così, sei proprio 'no schifoso!” si lamentò Maria mentre cambiava dall'autoradio la traccia audio del cd di Vasco fatto in casa. “Cumpà, 'sto pezzo me fa morì” ed ondeggiò la testa seguendo la ballata.
Siamo solo Noi!” Tra gli alberi il suono del Blasco ritmato dalle pallonate. Un poderoso rutto si unì alla band.

Sara si alzò dal prato scrollando il suo vestitino Desigual “Non è possibile!”.
“Dai Sara, se ti concentri sul volo degli uccelli tutto svanisce. Non senti l'energia della terra?” Daniele fece cenno a Sara di passargli la canna mentre si toglieva da davanti alla faccia i suoi dreadlocks.
“Si si la sento, qui l'incrocio energetico è veramente forte, ma con questi rompicoglioni non riesco proprio a rilassarmi...e poi Chandrasurya continua ad abbaiare...amore!” Il chiuahua guardò per un attimo la padrona, poi riprese ad abbaiare. “Io ci vado a parlare”.
I due si avvicinarono al gruppo.
“Ragazzi, scusate se vi disturbo, ma stiamo cercando di rilassarci e con il casino che fate è impossibile.”
“E che stamo a fa? Stamo solo a giocà a pallone e a sentì un po' de musica.” si difese Torello.
“Secondo voi allora è normale? E poi guardate quanta spazzatura!” Il prato era ricoperto di bottiglie e cartacce, che col vento si spargevano a diversi metri di distanza.
“Oh, il cane tuo c'ha pisciato sul plaid!” Maria si alzò in piedi di scatto cercando di allontanare a calci Chandrasurya che le abbaiò contro..
“Se lo tocchi ti ammazzo, stronza!”
Daniele si mise in mezzo “Sara stai calma! Ragazzi per favore, cerchiamo di convivere in pace in questo luogo bellissimo.”
“Ma che è 'na parucca quella?” Chiese Antonio ridendo.
“Guarda neanche ti rispondo.”
“Daniele, dov'è finito Chandrasurya?”
“Era qui...eccolo!” Chandrasurya si stava dirigendo di corsa verso il bosco all'inseguimento di una cornacchia. Sara e Daniele lo rincorsero.

Le indagini dopo le sparizioni portarono a Ettore Pallesco, un abitante di Capestro solitario e strano, almeno a detta degli abitanti. Figlio di contadini deceduti da diversi anni, abitava una casetta in pietra vicino al suo terreno, guadagnava qualche soldo facendo lavoretti di manutenzione nel paese e coltivava il suo orto. Non frequentava i bar del paese e non andava in chiesa: un comportamento inconcepibile per i paesani.
Quando i carabinieri andarono da Ettore trovarono la casa disabitata. Porte e finestre non erano state chiuse ed evidentemente degli animali erano entrati dentro come rifugio. Niente di particolare colpì i militari, ma andando dietro la casa fecero una scoperta inquietante. Un altare fatto di sassi e ossa animali era situato al centro di uno spiazzo erboso, nascosto dalla vista dei pochi passanti sulla strada sterrata che conduceva a casa Pallesco. Quello che risultò dallo studio dell'altare, fu che non era di recente costruzione, anche se per gli scarsi mezzi dei carabinieri di Capestro fu impossibile risalire ad una collocazione temporale. Scavando intorno all'altare furono ritrovate migliaia di ossa animali. L'assenza di ossa umane impedì al maresciallo Scatenna di richiedere rinforzi investigativi, ma a quel punto era certo di chi fosse il responsabile delle sparizioni.

Un urlo disperato irruppe dal bosco.
“Antò, hai sentito?”
“Torè, piglia lu fucile in macchina, 'namo a vede! Marì, vieni pure te.”
I tre si diressero di corsa seguendo il tragitto di Sara e Daniele, raggiungendoli in una piccola radura. Sara era china a terra in lacrime, sotto di lei il cadavere dilaniato di Chandrasurya.
“Noooooo, odddio noooooo! Che cazzo!”
“Sara, sarà stato qualche lupo. E' la legge della natura.”
“Ma che cazzo dici Daniele?! Stai zitto se devi dire stronzate!” Daniele stette zitto.
“Cumpà, tuttapposto?” chiese Antonio avvicinandosi.
“Apposto un cazzo! Mi hanno ammazzoato il cane!”
“Cumpà, venite a vede, er cane è tutto spappulato. Ce mancano pure le zampe de dietro!”
“Madò, che schifezza, me fa vomità!” si lamentò Maria.
“Zitti, cazzo! Zitti! E andatevene affanculo!” urlò isterica Sara, quando fu lei stessa zittita da un grugnito proveniente dagli arbusti, seguito da un verso bestiale che riecheggiò nelll'aria. Poi comparve in tutto il suo orrore: possente si ergeva su due zampe munite di zoccoli, alto più di due metri, lunghi artigli sulle poderose zampe anteriori, ispide setole nere crescevano fino alla testa, sormontata da corna simili ai palchi dei cervi maschi adulti. Era ricoperto di foglie secche e pellicce animali di lupi, orsi, cinghiali e crini di cavallo, che componevano un primordiale e maestoso vestito dal quale spuntava una lunga coda. Ma fu il suo volto a riempire di terrore le menti e i cuori degli osservatori...il muso, seppur provvisto di grosse fauci e folta peluria, era di sicure fattezze umanoidi, anzi...umane. Le pupille nere come il vuoto cosmico.
“Torè! Spara!”
Maria urlò.
“Antò non se carica!”
“Ragazzi, fermi ha più paura lui di noi.” Daniele si frappose davanti la creatura.
“Sparate cazzo! Mi ha ammazzato il cane cazzo!”
L'Uomo Bestia partì alla carica afferrando Daniele alle spalle. Torello sparò i due colpi della doppietta che presero in pieno il petto e l'addome di Daniele, che morì quasi immediatamente poco prima di essere letteralmente strappato in due dall'Uomo Bestia, Antonio cominciò a scappare pisciandosi addosso, mentre alle sue spalle sentì le urla disperate dei suo compagni di sventura, seguite da quei rumori di mattatoio che non dimenticò mai più per il resto della sua vita.
Con il muco che gli colava in bocca e i pantaloni fradici di urina raggiunse la macchina, mise in moto e partì. Dallo specchietto retrovisore vide l'Uomo Bestia che l'inseguiva galoppando a quattro zampe, per poi terminare la sua cavalcata feroce rendendosi conto che ormai l'aveva perso. Un verso bestiale ma anche umano esplose da quella bocca blasfema: “CARNEEEEEEEEEE!”

La carneficina ebbe una eco internazionale talmente forte, che nelle ore successive furono inviati mezzi civili e militari per battere la zona in cerca del “Macellaio di Capestro” (così fu battezzato l'assassino dalle testate giornalistiche). La storia di Antonio fu omessa, così come la sua identità, che però era ben nota a Capestro; in poche ore i paesani vennero a sapere la sua incredible versione, che lo condannò all'emarginazione.
Gli investigatori non riuscirono a trovare un granché, solo il terzo giorno fu fatta una scoperta eclatante, tenuta però accuratamente nascosta. In una grotta situata in una zona impervia tra le montagne, furono trovati segni di presenza umana, anche se “umana” non è la parola giusta. Del diametro di circa tre metri e lunga dieci, appestata da un olezzo nauseabondo, era ricoperta di ossa e pelle, animali e umane, che in seguito agli esami si rivelarono appartenere alle persone scomparse e ad altre sconosciute. Sparsi in giro c'erano i vestiti, qualche effetto personale e soprattutto i documenti di Ettore Pallesco. Fu in fondo alla grotta però che fu fatta la scoperta più terribile e mostruosa, che fece rabbrividire gli investigatori. Un altare di sassi e ossa si ergeva nella parte più buia e profonda, su di esso erano stese delle pelli rinsecchite, sette in tutto, ognuna più grande di quella sottostante. Presentavano uno strappo sulla schiena, come delle mute del serpente...ma di forma quasi umana. L'ultima muta, quella più grande, presentava una forma abominevole che le menti dei presenti rifiutarono di accettare.
Il maresciallo Scatenna riconobbe l'altare ed in quel preciso momento capì che il suo istinto non si sbagliava. Era Ettore Pallesco il colpevole, anzi, quello che Ettore Pallesco era diventato.
Dopo il clamore iniziale e la fine dell'estate, i media smisero di interessarsi al caso. La grotta insieme al suo contenuto fu fatta saltare in aria con delle cariche esplosive, le strade che conducevano ai boschi furono chiuse, fino a diventare impraticabili con il passare degli anni. I pascoli furono spostati a valle, così come le zone di caccia, e a parte qualche esploratore sparuto, nessuno si avventurò più sulle montagne intorno a Capestro. Non ci furono più attacchi o avvistamenti insoliti.

L'Uomo Bestia corre tra gli alberi con il vento che sibila tra le fauci. Figlio della Terra, servo del Cielo Stellato, Fratello e Carnefice del Lupo e del Cervo, Custode dei Segreti della Vita e della Morte. L'Istinto è il suo unico padrone e signore e per suo volere agisce all'infuori del Bene e del Male.
Un dio si è fatto carne.

FINE

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