domenica 8 gennaio 2017

Il Cane Nero (Sotto la Luce della Falce) - un racconto gotico

 
Avvertì i rumori provenire fuori dalla casa quando la falce di Luna era alta nel cielo senza stelle. Dapprima dei mormorii, poi una voce acuta e lamentosa si diffuse dal bosco. Continua. Pedante.
Si assicurò che tutti gli scuri fossero chiusi. Spense la luce e guardò fuori da una finestra, nascosto dalle tende: la selva celava ogni forma, illuminata appena dal pallido satellite. Il lamento terminò avvolto da un lungo silenzio. Fruscio di foglie. Calpestio di rami. Dagli alberi nascosti nel buio emerse una forma. Un cane nero di taglia grande camminava incerto, con le orecchie schiacciate sulla testa bassa e la coda tra le zampe. Si sedette pochi metri dalla soglia con una zampa leggermente alzata, riprendendo a guaire sotto il fioco bagliore selenico.
Scostò la pesante tenda per vedere meglio il cane, che a distanza lo guardava in modo sfuggente, muovendo la testa prima da una parte e poi dall'altra. Poggiò l'orecchio alla porta ascoltando il respiro ansimante e affaticato del cane, percependo la sua paura, la sua disperazione, il suo dolore, il suo bisogno di aiuto. Accese la luce e aprì per accoglierlo. L'animale si avvicinò sotto il nuovo chiarore rivelando il pelo rosso zuppo di sangue, grondante liquido scarlatto. Si eresse in avanti sulle zampe ora rigide, il pelo del dorso ritto e le orecchie in avanti. Gli occhi di brace, il muso arricciato, le fauci serrate eruttarono un ringhio fragoroso e assordante. Il Lupo era pronto ad attaccare. In pochi balzi gli fu alla gola.
Sotto la luce della Luna, il sangue sembra nero.

FINE

La Fabbrica degli Orrori - musica per produzioni inenarrabili


mercoledì 13 aprile 2016

Nato Malvagio - racconto sulle origini del Male

 
Dopo essersi distaccata dall'autostrada, la strada che conduceva alla casa-vacanza per ragazzi con problemi psicomotori passava attraverso una zona collinare, lontana dalle grandi città. Pali della luce e qualche villa isolata erano gli unici elementi artificiali che correvano nel paesaggio. Un sole freddo di metà mattina illuminava l'utilitaria rossa. Isacco gettò la sigaretta fuori dal finestrino e diede un'occhiata a Gabriele, seduto sul sedile affianco, che lo guardò distrattamente come al solito per poi girarsi dall'altra parte. Isacco sorrise.
Entrati in un piccolo paese, alla vista di un bar Isacco accostò la macchina. Gabriele sceso dall'auto iniziò a far schioccare le dita e a saltellare gridando “Pipì! Pipì! Pipì!”
“Gabriele vieni! Qui c'è un bagno, mi raccomando trattieniti!”
Isacco prese per mano Gabriele e lo portò dentro il bar, foderato da assi di legno vecchie di almeno trent'anni e ricoperto da foto, cartelli, pubblicità e memorabilia così kitsch da rendere il tutto paradossalmente caratteristico.
“Un caffè e un bicchiere d'acqua per favore, intanto usiamo il bagno.”
“Serve la chiave...” replicò il vecchio e pesante barista con un forte accento rurale.

“Ma che ha il ragazzo? E' scemo?” Gabriele fissava il vuoto con la bocca aperta. Un goccio di saliva pendeva da un lato della bocca.
Isacco trattenne un vaffanculo ed allontanò la tazzina dalle labbra “No, è autistico. Lo sto portando al Rifugio Arcobaleno per una vacanza. Sono il suo accompagnatore, vero Gabriele?” Isacco asciugò la saliva con un tovagliolino e fece bere un po' d'acqua a Gabriele.
“Scusi...sa, qui di mongoloidi non se ne vedono tanti...non è che si è offeso?”
“...No, si figuri...” Isacco ora voleva proprio uscire “Mi potrebbe dire come raggiungere il Rifugio Arcobaleno? Manca molto?”
“Ma no! Sarà neanche un'ora di macchina. Continua dritto e al primo bivio prende la strada a sinistra che va a salire sulla montagna. Poi sceso dall'altra parte sempre dritto e se lo trova proprio davanti. Lì ci vado con le mie nipotine che ci sono le giostre...non sapevo che facevano le cose per i mongoloidi. Dice che ce le posso portare le nipotine con questi qui o è pericoloso?”
“...Penso di si, se sono ammaestrate.” Il pesante e inopportuno barista non capì la battuta. Meglio così, pensò Isacco.

La strada iniziò ad arrampicarsi sulla montagna. Gli alberi prima sparuti, poi sempre più fitti, presero il posto dello scarno paesaggio collinare. La luce del sole non riusciva a raggiungere il suolo ed era ancora più fredda, nonostante fosse passata l'ora di pranzo. Il corridoio di alberi fu interrotto dall'improvviso chiudersi delle pareti di roccia che ora stringevano la strada da tutte e due i lati. Cime grigie e austere svettavano sulla gola. Isacco si girò verso Gabriele, che lo stava fissando. Isacco deglutì mentre il suo scroto si raggrinziva e un brivido freddo correva lungo la schiena, Gabriele si girò. Le pareti di roccia lasciarono nuovamente spazio al corridoio di alberi.
Il Portale era stato varcato.

“Pipì! Pipi! Pipì!”
“Ma quanto dura questo cazzo di bosco?”
Scesi dalla macchina Isacco abbassò i pantaloni di Gabriele.
“Gabriele, stai attento e non farmela sulle mani, ok?”
Gabriele pisciò in silenzio.
Scrollò il pisello di Gabriele e tornarono verso la macchina. Una figura era ferma dall'altra parte della strada, comparsa dal nulla. Il corpo nudo coperto di sangue fresco e raggrumato, che cadeva a tocchi qua e là, martoriato da fratture multiple e scomposte assumeva una postura sbilenca, con le gambe piegate ad incrociarsi, il busto pendente da un lato e le braccia come affette da paraplegia. Il pene mutilato ciondolava attaccato ad un lembo di pelle. Attraverso un foro una corteccia inchiodata al volto rivelava un occhio sgranato, supplicante, sofferente, agonizzante.
Isacco si fermò immediatamente e si mise davanti Gabriele per proteggerlo. L'inquietudine che trasudava l'uomo con la maschera smorzò ogni parola di Isacco.
“...”
L'uomo con la maschera di corteccia allungò lentamente un braccio cremisi, indicando le spalle di Isacco, che meccanicamente si girò. Gabriele era sparito. Si rigirò di scatto. L'uomo con la maschera di corteccia non c'era più. Sudò freddo, guardò prima dentro e poi sotto l'automobile. Si mise le mani fra i capelli. Stava per piangere. Una serie di schiocchi di dita riecheggiarono innaturalmente tra gli alberi.
“Gabriele! Gabriele!”

Isacco vagava tra gli alberi a fatica incespicando. Il telefono non prendeva. Era solo.
“Gabriele! Gabriele!”
Anche se avesse sentito, come avrebbe potuto rispondere? Un sordo richiamo per uccelli.
Mille ipotesi paranoiche turbinavano: era finito in un fosso e si era rotto una gamba. Era stato attaccato da un animale selvatico e giaceva con l'intestino penzolante. Avrebbe vagato fino allo stremo delle forze morendo solo come una bestia...e poi l'uomo con la maschera di corteccia...era reale? Era un incubo ad occhi aperti?
Si fermò e guardò dietro di sé, realizzando che si era inoltrato troppo nel bosco, perdendosi. Si accasciò a terra in ginocchio e scoppiò in lacrime. Avrebbe ritrovato la strada? Sarebbe morto in quei boschi? Se fosse tornato cosa avrebbe raccontato? L'angoscia fu incontrollabile. Le lacrime bruciavano i bulbi oculari.
“Ciao.” Una voce.
Isacco si guardò intorno. Una ragazza si stava avvicinando con un bastardino al seguito.
“Ciao” imbarazzato si asciugò le lacrime “Credo di essermi perso” e abbozzò un sorriso ebete.
“Credo di essermi persa anche io e il cellulare non prende”
Il cane annusò Isacco scodinzolando e gli leccò il viso. Isacco si lasciò pervadere dal gesto di affetto puro e spontaneo, rincuorandosi e prendendo forza. Lo accarezzò. Era tiepido.
“Come si chiama?”
“Anubi”
“Anubi?!..Come il cane di Gabriele...” Isacco si alzò in piedi.
“Come scusa?”
“...No, scusa tu. Gabriele è il ragazzo autistico che era con me...prima di perdersi...Lo stavo accompagnando in macchina ad una casa-vacanza. Era sceso un attimo per fare pipì, ma è scomparso...lo sto cercando disperatamente.” Cercò di sorridere trattenendo le lacrime. Omise volontariamente la parte dell'uomo con la maschera di corteccia, non essendo sicuro che fosse un ricordo reale o meno, o perlomeno non voleva risultare pazzo alla prima impressione.
“Tu come ti chiami?”
“Mi chiamo Giuditta, abito da queste parti. Stavo facendo una passeggiata con il cane, ma mi sono persa.”
Isacco non fece parola del fatto che Giuditta era il nome della donna delle pulizie che lavorava a casa di Gabriele. Troppe coincidenze, in una situazione troppo assurda.

Vagavano nel bosco da ore. L'aria fredda e umida correva tra gli alberi ingrigiti dalla luce del crepuscolo.
Isacco osservò parecchio Giuditta. Avrà avuto vent'anni circa, ma in modo indefinito, avrebbe potuto averne quindici o trenta. La sua andatura tutto sommato regolare, aveva un non so che di meccanico e artefatto. Lo sguardo immutabile era come disegnato sul volto. Anubi la seguiva dritto per dritto come attaccato ad un filo, senza annusare freneticamente il bosco come avrebbe fatto un normale cane. Isacco si teneva ad una certa distanza pervaso da una leggera inquietudine.
“Hai detto che abiti qui vicino, vero? Dove di preciso?”
“In un piccolo paese.”
“Come si chiama?”
“Moria.”
Isacco deglutì. Moria era il paese di montagna dove la famiglia di Gabriele aveva una casa per le vacanze...e non si trovava da quelle parti. Un'idea assurda cominciò a svilupparsi nella mente di Isacco.

Il rifugio era illuminato a malapena dalla luce del crepuscolo. Era interamente in legno, di forma squadrata; sul tetto spiovente faceva capolino la canna fumaria di un camino da cui usciva del fumo. Su un lato era disposta ordinatamente della legna protetta da una tettoia. Una fioca luce rossa si intravedeva dalle piccole finestre.

Lupacchio il Taglialegna viveva in una casetta in legno sulla montagna...

“Finalmente! Giuditta, proviamo a bussare.”
Nessuno aprì la porta. I due aspettarono. La poca luce del sole rendeva visibile solo il bianco delle pupille di Giuditta, così bianche, così strane. Anubi era immobile.
“Io entro.” Disse Giuditta, girò la maniglia ed aprì la porta.

Lupacchio abbatteva gli alberi con la sua ascia, poi li faceva a pezzi e caricava la legna dentro un grande cesto che si metteva sulle spalle...

L'interno era costituito da un'unica stanza. Pelli di animali tappezzavano il pavimento e i muri, illuminate dalla calda e fioca luce dei tizzoni ardenti del camino. Giuditta vi gettò un ciocco di legno e lo attizzò soffiando dentro una canna di metallo brunito e Anubi si accucciò su una pelle davanti il tepore delle fiamme.
“Che fai Giuditta...”
“Preparo la casa in attesa del ritorno del padrone.”
Isacco fissò ipnotizzato il fuoco e si accorse che delle piccole ossa spuntavano dalla cenere.

Lupacchio procedeva a passi pesanti verso casa, trascinando la rete carica delle sue prede. Piangevano, pregavano, supplicavano. Lupacchio li sentiva, ma sapeva che presto avrebbero taciuto, perché a lui piaceva la carne morbida...

“Qualcuno si sta avvicinando...”
“Non avere paura.” Con voce monotona.
Lupacchio fece cadere il suo carico di legna sotto la tettoia. Prese l'ascia ed entrò, in tutta la sua imponenza.
Isacco ebbe una stretta in gola e gli si chiuse lo stomaco.
“Salve, mi chiamo Isacco, ci siamo persi...”
Poi vide il carico dell'enorme uomo barbuto ricoperto di pelli e armato di ascia. Un ammasso di bambini tra i tre e i cinque anni si contorcevano in una rete di canapa dalle grosse corde intrecciate. Gemevano con le lacrime agli occhi, alcuni mugugnavano ricoperti da escoriazioni sanguinanti, altri erano forse morti, forse svenuti. Isacco conosceva quell'uomo. Era Lupacchio.

“Così Lupacchio si preparò a cucinare i bambini del villaggio, ma il più coraggioso si finse morto e quando il taglialegna stava affilando la sua ascia, con tutte le sue forze lo spinse nel fuoco dove bruciò in pochi istanti. Così liberò i suoi amichetti che tornarono al villaggio dalle loro mamme e papà! Ti è piaciuta questa storia Gabriele?”
Gabriele fissava il vuoto, desiderando come ogni volta che Isacco gli raccontava quella favola, che i bambini fossero trucidati da Lupacchio.

“Te l'ho detto Isacco, non devi avere paura, vogliamo solo farti a pezzi, smembrarti, strapparti la pelle e cavarti gli occhi. Sarà una lunga agonia per te, ma sarà divertente.” proferì Giuditta calma e serafica.
“Co...cosa?”
Anubi ringhiava verso Isacco e si gonfiò come un pallone. La pelle si lacerò e il pelo si macchiò di sangue marrone ribollente, prendendo la forma di un aborto dentato che si avvicinava minacciosamente. Isacco cercò di scappare, ma riuscì solamente a chiudersi in un angolo. L'essere informe si avvinghiò intorno alle caviglie e salì verso i polpacci lacerandoli con artigli e denti. Lupacchio lo afferrò e lo sbatté sul tavolaccio di legno, bloccandolo per le spalle per permettere all'aborto di carne e peli di incollare letteralmente le gambe martoriate di Isacco al legno con il la sua consistenza molliccia. I bambini nella rete si erano fusi in un ammasso di bocche e occhi, intonando una litania di lamenti e gorgoglii che raggelò il sangue di Isacco. Giuditta afferrò un lungo coltello avvicinandosi con movimenti scomposti e meccanici. La bocca si aprì fino a strappare le guance, distaccando la parte superiore della testa che cadde a terra pesantemente. Una lunga lingua scarlatta serpeggiò freneticamente dalla gola dimenandosi nell'aria. Isacco urlava terrorizzato mentre il mostro dalla lingua saettante gli provocava dei profondi tagli su tutto il corpo. La tortura andò avanti per parecchio tempo, fino a quando il demone afferrò i capelli dell'uomo cominciando ad incidere il collo. Isacco solo a quel punto pronunciò poche e flebili parole: “Gabriele...perché mi fai questo?”
Il demone si fermò meccanicamente ed interruppe la decapitazione svanendo, la melma purulenta che gli bloccava le gambe si sciolse ed il taglialegna diventò polvere. Le pareti della casa caddero ed il tetto ascese verso l'infinito. Il corpo sanguinante di Isacco levitò a mezz'aria e fu imprigionato da lunghi rovi di ferro arruginito provenienti dal bosco deforme che gli lacerarono i muscoli. Il cielo nero come la pece lo illuminava con una fluorescenza malata.
Gabriele apparve nella radura e parlò.
“Isacco, provi dolore?”
“...si...tanto...”
“Hai paura?”
“...ti prego, basta...basta...”
“No Isacco, non mi fermerò. Tu ora morirai tra atroci sofferenze.”
“...perché?...cosa ti ho fatto?...”
“Non mi hai fatto niente, Isacco. Voglio solo divertirmi. Voglio solo giocare.”
I rovi di ferro mollarono la presa, ma solo per afferrare meglio le ossa di Isacco per romperle in maniera scomposta: braccia, gambe, costole. Fecero a brandelli ciò che rimaneva degli abiti ed un rovo saettò nell'aria tranciando quasi di netto il pene di Isacco. Un altro gli si infilò in bocca maciullando lingua, denti e muscoli. Una corteccia schiacciò il suo volto e dei chiodi la bloccarono conficcandosi nelle ossa facciali. Buio.

Isacco era in piedi dolorante, grondante sangue. Istintivamente si trascinò avanti per cercare aiuto e raggiunse una strada asfaltata. A pochi metri c'era la sua macchina e lì vicino vide sé stesso con Gabriele. Si fissarono, cercò di parlare, ma non poteva. L'unica cosa che fece fu alzare a fatica il braccio indicando il Male. Gabriele sorrise e svanì nel nulla. Buio.

La polizia trovò l'automobile di Isacco nei boschi e poche ore dopo Gabriele che vagava sulla strada per il Rifugio Arcobaleno. Il corpo devastato di Isacco non fu mai rinvenuto. Concimò l'erba e i fiori dei boschi dove morì, vittima di un gioco sadico a cui prese parte per puro caso.
Il male germoglia nei luoghi più inaspettati. Si nasconde latente e innocuo, manifestando il proprio orrore con estrema violenza al momento giusto, per poi sopirsi in attesa di una nuova occasione.

domenica 20 dicembre 2015

Spam - racconto sci-fi weird sulle conseguenze del gameplay

La porta emise un sinistro cigolio. Oltre, il buio.
Entrò lentamente guardandosi intorno con la torcia elettrica, in cerca di provviste e munizioni. L'Apocalisse Zombi aveva ridotto la razza umana a bande rivali in lotta per la sopravvivenza e doveva tornare dal suo gruppo con qualcosa da mangiare e possibilmente della benzina per il genertore...poi un rumore improvviso. Uno zombi si avventò contro...

ERRORE INASPETTATO. CONTATTARE L'ASSISTENZA.

Cazzo!

La Gamestation High Reality si aprì con un sibilo, lasciandolo al suo interno nudo come un verme, infreddolito e con i cavi attaccati al corpo. Le flebili luci di emergenza illuminavano il grosso pulsante intermittente di Richiesta di Assistenza. Lo premette.
Gentile Abbonato, la sua richiesta di assistenza è stata inoltrata. L'intervento arriverà entro un'Ora di Gioco.”
Incredibile! Il suo abbonamento Premium All Life con la Fony prevedeva 24/24 ore di gioco ininterrotte, il download gratuito di tutti i giochi Fony, Multiplayer Online, un account Musify per ascoltare tutta la musica che vuoi senza mettere in pausa il gioco, nutrimento tramite flebo, assistenza sanitaria integrata, rimozione automatica delle piaghe da decubito, manutenzione ordinaria della Gamestation e cremazione del corpo in caso di morte. Il suo Reddito Assicurato di Cittadinanza veniva direttamente versato alla Fony, così da non dover perdere tempo con ulteriori pratiche burocratiche. Con tutti i soldi che gli dava, era inammissibile che la macchina avesse un'avaria del genere!
Il campanello suonò.
“Signor Jean Papadopoulos, siamo l'Assistenza Fony. Tutti i dati da lei forniti verranno utilizzati unicamente a fini contattuali nel rispetto della Privacy. Per avere l'assistenza tecnica dovrà premere Accetta sulla sua console, altrimenti prema Rifiuta.”
Premette il pulsante Accetta.
La porta si aprì ed entrarono due androidi. Quello simile ad un manichino di un negozio di abbigliamento indossava una tuta da lavoro blu della Fony e spingeva una sedia a rotelle. Dietro di lui fece il suo ingresso un robot più squadrato e grezzo, con una tuta marrone e una grossa cassetta degli attrezzi.
“Salve Signor Papadopoulos, il mio nome è Lao e sarò il suo Androide di Assistenza fino al termine della riparazione. Lui è Hans e si occuperà del guasto della sua Gamestation Fony High Reality. Ora mi permetta di aiutarla.”
Lao scollegò i cavetti neurali da Papadopoulos, poi estrasse il catetere e il collegamento rettale, per concludere togliendo l'ago della flebo. Con delicatezza lo prese in braccio e lo adagiò sulla sedia a rotelle coprendolo con un telo termico. Jean si accorse che le sue gambe erano totalmente atrofizzate e che il ventre bianco e flaccido aveva la consistenza di un budino.
“...Lao...” la voce era un sibilo. Da quanto non parlava?
“Si, Signore?”
“...apri la finestra...”
“Signore, i suoi occhi non sono abiturati alla luce solare. Potrebbe riportare traumi oculari.”
“...ok...” Jean deglutì e aspettò guardando Hans che riparava la macchina.
Da quanto non sentiva pronunciare il suo vero nome? Dark Borg, Elethienet, Lorne Malvo, Lupo Maledetto...aveva perso il conto dei suoi nickname. Era stato un Pirata del Cybercosmo, un giocatore di Bloodball, un Gangster di Pechino, un Investigatore dell'Impossibile...ma chi era Jean Papadopoulos? O meglio, cosa ricordava di sé stesso?
Nella luce soffusa di emergenza della Gamestation intravide il calendario appeso alla parete, fermo all'anno in cui aveva acquistato la macchina. Su un tavolo il suo vecchio computer.
“...Lao, portami al computer...”
“Si, Signor Papadopoulos.”
Pulsante di accesnione. Caricamento. Caricamento in corso. Attendere prego. Attendere prego. Jingle. Doppio click Foto. Foto di bambini: figli? Nipoti? Foto di anziani: genitori? Cane, vacanze, gente, aperitivo, donna, uomo, uomo, paesaggio, foto sfocata, foto, foto, foto. Cambio directory. Documenti, doppio click, promemoria, documenti...Jaean vedeva la sua vita come un estraneo che spia i ricordi di uno sconosciuto.
Aprì la casella email. 401.942 email di spam.. L'ultima riportava una data di più di duecento anni dopo quella del calendario appeso alla parete. La data del computer segnava 0000. Ora 00:13.
“...Lao..in che anno siamo?”
“Signore, non posso tecnicamente rispondere alla sua domanda, poiché posso calcolare il tempo solo in Ore di Gioco.”
“...da quante Ore di Gioco sono collegato alla Gamestation?..”
“Da undicimiliardicentoottantamilioniseicentoventiquattromilacinquecentoventi Ore di Gioco, Signor Papadopoulos.”
“...puoi converire le Ore di Gioco in anni civili?..”
“Certo, le Ore di Gioco accumulate corrispondono a unmilioneduecentosettantaseimila trecentoventisette anni, Signor Papadopoulos.”
“...Un Milione di Anni!?.ci dev'essere un errore!..”
“Nessun errore, Signor Papadopoulos.”
Jean strizzò gli occhi e si leccò le labbra. “Apri la finestra Lao.”
“Come vuole, Signore.”
La luce solare invase la stanza bruciando gli occhi di Jean. Lentamente riacquistò la vista. Una lussureggiante foresta intricata aveva preso il posto del panorama di palazzi, strade, cartelli pubblicitari, monumenti. Alcuni edifici erano ancora in piedi, come monoliti nel deserto.
“...non respiro...”
Lao prese un respiratore da sotto la sedia a rotelle e lo adagiò sulla bocca di Jean.
“...sono vivo...sono vivo...come faccio ad essere vivo se è passato più di un milione di anni?!.”
“Le App di Ricerca Fony hanno sviluppato il plugin Immortalità. Lei accettando gli upgrade contrattuali ha avuto automaticamente diritto al plugin Immortalità, disponibile per tutti gli Abbonati Premium All Life Fony, Signor Papadopoulos.”
“...Lao...che fine hanno fatto tutti?..”
“Il 99% della popolazione mondiale è collegata alla Game Station con Abbonamento Premium All Life Fony, Signor Papadopoulos.”
“...e l'1%?..”
“L'1% sono gli individui che hanno perso il diritto al Reddito Assicurato di Cittadinanza per aver violato la Legge, requisito necessario per stipulare un Abbonamento Premium All Life, Signor Papadopoulos.”
“...e dove sono?..”
“Non posso tecnicamente rispondere alla sua domanda. I dati in mio possesso riguardano solo gli Abbonati Fony, Signor Papadopoulos.”
“...ma, se tutta la popolazione mondiale è collegata alle macchine, come possiamo riprodurci?”
“La natalità degli Abbonati è pari a zero, Signor Papadopoulos.”
“...ma...ma chi gestisce la Fony?..”
“La Fony è un'Azienda 100% a gestione automatizzata e ad energia solare. Le App di Ricerca sviluppano nuovi giochi e upgrade biologici per gli Abbonati, mentre le App di Manutenzione si occupano delle Gamestations e delle abitazioni degli Abbonati, Signor Papadopoulos.”
“...non...non c'è nessun essere umano a gestire la Fony?..”
“No, Signor Papadopoulos.”
“...cosa è successo durante tutto questo tempo?..”
“Posso solo fornire informazioni riguardo il Mondo Fony, Signor Papadopoulos.”
Jean ebbe un mancamento.
“...portami sul corridoio del pianerottolo...”
Lao spinse la sedia a rotelle fuori dall'appartamento. Porte impiallaciate finto legno marrone nocciola correvano lungo il corridoio illuminato dai neon. Alcune erano aperte.
“...Lao, portami dentro quell'appartamento...”
“Signore, mi è proibito svolgere azioni che permettano all'Abbonato di violare la Legge.”
Jean a fatica spinse con le braccia la sedia a rotelle ed entrò nell'appartamento di un suo vicino. La porta era stata chiaramente sfondata dall'esterno. La Gamestation Fony troneggiava al centro del monolocale...aperta.
Si avvicinò scorgendo il contenuto: uno scheletro scomposto abitava la bara di plastica e transistor.
Jean si tirò indietro, poi visitò altri appartamenti violati, tutti con lo stesso orrendo scenario.
Dei rumori provennero dalle scale. Versi, passi, ringhi, soffi, mugolii. Jean si ritrasse verso Lao.
Sul pianerottolo apparvero un branco di bestie pelose e scimmiesche. Il volto squadrato, le zampe tozze e muscolose, le fauci appuntite. Occhi piccoli e neri. Lanciando versi minacciosi, si lanciarono verso Jean.
“LAO! PORTAMI NEL MIO APPARTAMENTO DI CORSA E CHIUDI LA PORTA!”
Lao obbedì, prima che gli animali feroci riuscissero a ghermirlo. Le bestie cominciarono a battere fuori dalla porta.
“Riparazione completata” disse Hans.
“La sua Gamestation High Reality Fony è ora funzionante e pronta all'uso, Signor Papadopoulos. E' ora possibile continuare a giocare.”
“No! Se uscite quelle bestie entreranno e mi uccideranno! Barricate la porta! Chiamate la polizia! Aiutatemi!”
“Il servizio di assistenza è terminato, Signor Papadopoulos. Per ogni reclamo può contattare il Servizio Clienti online.”
Lao ripose Jean nella Gamestation, ricollegandolo a cavi, tubi e aghi.
“No! Vi prego! No!”
“Gazie mille per la pazienza, Signor Papadopoulos.”
Lao chiuse il coperchio.
Jean era online affrettandosi a raggiungere il Servizio Clienti, ma presto la Gamestation fu divelta dagli sciacalli feroci, che smembrarono selvaggiamente il povero Abbonato divorandone il cadavere.
Jean Papadopoulos, come altri suoi simili, fu il facile pasto in scatola dei discendenti evoluti dopo un milione di anni da quell'1% della specie umana.

FINE


lunedì 16 novembre 2015

Il Quadro (The Picture) - racconto sulla follia dell'arte o sull'arte della follia

Henri, colpito da una grave appendicite, era costretto al letto. Nel suo piccolo e spartano monolocale la sua attività preferita era leggere libri su paesi lontani. Il suo amico Pablo lo aiutava con piccole commissioni e nuovi libri che arricchivano le pile accatastate sul pavimento.

Toc toc
“Avanti” disse Henri
La chiave girò nella serratura e fece la sua comparsa Pablo con un grosso ingombro che trasportava con entrabe le mani.
“Pablo! Ma che cos'è quella roba?!”
“Un regalo per te.” Poggiò a terra il pacco grosso e piatto ed iniziò a scartarlo “Tadaaaaa!”
“Un quadro? Io non ho quadri.”
“Appunto! In questa stanza non c'è una nota colorata, solo pile di libri e pentole. Henri, hai bisogno di cose belle da vedere.”
“Bhè...in effetti apprezzo il gesto. Avvicinalo, fammelo vedere meglio.”
La tela era contornata da una semplice cornice in legno scuro e ritraeva una stanza: in primo piano un tavolo con un cesto di frutta, in parte caduta sul tavolo, e un vasetto di fiori su una tovaglia a righe bianche e rosse; affianco un mezzo grammofono appoggiava su un apparente caminetto.. Sullo sfondo una tenda tirata per una parte, apriva una stanza caratterizzata da una grande finesta che affacciava su un panorama di tetti e montagne ancora più in là. Le pareti, la tenda e il pavimento erano ricopperti di arabeschi di vari colori. Tutto sarebbe stato abbastanza normale se non per le prospettive mutevoli e le vie di fuga ambigue che rendevano il tutto...bizzarro.
“...Ti piace o no?”
“Si...dieri di si...non saprei, non ci capisco di arte...ma direi che mi piace.”
“Bene! Lo vogliamo appendere davanti al letto? Così potrai contemplarlo quando vuoi.”
Preso martello e chiodi, Pablo fissò il quadro alla parete. “Ora devo andare Henri, ci rivediamo nei prossimi giorni.”
“Va bene Pablo, grazie mille...aspetta...” Pablo uscì dalla camera senza che Henri finisse la frase.
Si era dimenticato di chiedergli dove avesse preso il quadro.

Quella sera Henri non riusciva a dormire e un fastidioso mal di testa rendeva la lettura difficile. Alzò lo sguardo verso il quadro. Inizialmente la sua attenzione fu catturata dalla frutta caduta sul tavolo: limoni? Mele? Pesche? Arance? La pennellata dell'artista non era netta, tutt'altro, rendendo gli oggetti comprensibili, ma non del tutto. Poi vagò con lo sguardo nella camera dipinta, per ammirare la tenda tirata da una corda, ricoperta di disegni nebulosi e variopinti. “Entrò” nella seconda stanza. Li si “affacciò” dalla finestra sul paesaggio sfocato...notò qualcosa...
Tra la finestra chiusa e la tenda tirata, c'era un piccolo rettangolo di tela che prima non aveva notato. Dentro quel rettangolo c'era un volto indefinito. Non era chiaro se fosse l'artista che si specchiava da dietro il tavolo con la frutta, o se fosse un'altra stanza oltre quella con la finestra. Non si ricordava di quel volto...
Henri si addormentò.

“Curioso” disse Pablo.
“Mi comunica inquietudine, ma anche calma.”
“Neanche io avevo notato il volto.”
“Queste vie di fuga paradossali, queste geometrie inesatte, queste pennellate indefinite...originale...”
I due amici fissavano il dipinto seduti sul letto da almeno un'ora.
“Henri, ora devo proprio andare all'ufficio postale a spedire una lettera importante, ci vediamo nei prossimi giorni.”
“Ciao Pablo, grazie della visita...ah, dove hai...” Pablo era uscito. Anche questa volta si era dimenticato di chiedergli dove avesse preso il quadro.

“Pronto Pablo...vieni subito!”
Henri camminava nervosamente nella stanza, osservando con la coda dell'occhio il quadro, ma senza mai soffermarcisi troppo.
Entrò Pablo.
“Cosa è successo, amico mio?!”
“Pablo, guarda il quadro, guarda bene...guarda il volto!”
“...Henri...ti assomiglia...”
“Sono io Pablo! Il volto nel quadro è il mio! Pablo...dove hai preso il quadro?!”
“...”
“Dove!”
“Henri...da quando ti conosco il quadro è sempre stato qui...”
Henri sbiancò in volto. “Cosa dici? L'hai portato tu pochi giorni fa!”
“Non è vero Henri, io...”
“Tu vuoi farmi diventare pazzo! Sei entrato di notte ed hai dipinto tu il volto mentre dormivo! Prima l'hai abbozzato, poi l'hai reso simile al mio! Perché vuoi farmi impazzire, eh?! Perché!!!”
“Henri, calmati!”
“Fuori! Vattene via! E non tornare mai più!”
Henri cacciò Pablo dalla stanza sbattendo la porta, poi con rabbia staccò il quadro dal muro e lo lanciò fuori dalla finestra.

Al suo risveglio Henri vide che il quardo era ancora appeso al muro. Una lettera affrancata era stata fatta passare sotto la porta d'ingresso:

Caro Henri,
dove sono ora tutto è strano e diverso. Ciò che credevo certo si è rivelato un'illusione. Cosa ci spinge a credere in quello che percepiamo? Perché non possiamo vedere la meraviglia che si nasconde dietro le geometrie convenzionali? Henri, dovresti vedere questi colori e queste forme. Henri, devi raggiungermi. Henri, è meraviglioso.

Pablo”
Henri svenne.


Aprì gli occhi. Un turbinio di forme e colori indefiniti gli trafisse gli occhi. Davanti a lui un tavolo con della frutta caduta, una tenda scostata, una finestra che dava su delle case, in fondo uno specchio dove si rifletteva il suo volto. Si girò. Una tela appesa al muro raffigurava la sua stanza con il letto vuoto e le pile di libri sul pavimento.
Urlò, si nascose sotto il tavolo. Vi rimase per molto tempo in stato catatonico, forse ore, forse giorni, forse secoli. “Henri, dovresti vedere questi colori e queste forme.”
Si alzò in piedi, prese uno dei frutti dal tavolo e lo morse. Tra i denti sentì una sostanza morbida sciogliersi in bocca e potè distinguere nettamente il sapore di giallo e di rosso. Annusò i fiori del vaso che lo costrinsero a portarsi entrambe le mani sulle narici come a difendersi da una tale fragranza mai annusata in precedenza, così piacevole da rimanerne terrorizzato. Hernri pianse dalla gioia. Si spostò verso il grammofono sul caminetto e lo mise in funzione. Dopo l'iniziale gracchiare, un suono sconosciuto riempì le sue orecchie. Non c'era melodia o armonia. Il contrappunto era inesistente e gli strumenti indistinti. “Ciò che credevo certo si è rivelato un'illusione.” Le ginocchia di Henri cedettero e cadde a peso morto. Rialzatosi a fatica passò sotto la tenda scostata da una corda e vide la sua figura allo specchio. Una serie di macchie colorate definivano Henri. “Cosa ci spinge a credere in quello che percepiamo?”
Aprì la finestra e si affacciò. Un villaggio nebuloso circondava l'abitato, sull sfondo delle montagne grigie si fondevano con il cielo. “Perché non possiamo vedere la meraviglia che si nasconde dietro le geometrie convenzionali?”

Era solo, esplorando i vicoli informi del villaggio. Non c'erano abitanti, né porte, né finestre. Dopo la foresta di edifici il mare, o l'oceano, o una vasta distesa d'acqua mutaforme: blu, azzurro, celeste, bianco, spuma, onde, vuoto, spazio siderale, solitudine.
Una figura emerse lentamente dal colore: un enorme Octopus si ergeva davanti Henri, paralizzato dalla gigantesca mostruosità. In un boccone lo divorò.

Picasso bussò alla porta.
“Pablo, entra pure!”
“Cosa volevi farmi vedere di così urgente?”
“La mia nuova opera. Si chiama Interno con fonografo.”
Matisse fece accomodare Picasso nell'altra stanza.
“Henri, è meraviglioso!”
“Grazie Pablo, ma ora ti devo raccontare un sogno che ho fatto qualche tempo fa....”

FINE

mercoledì 4 novembre 2015

Visioni Spettrali - fotografie di inquietudini

Fotografie realizzate in occasione di Halloween 2015 presso Villa Badde, Leonessa (RI), Italia.

Fotografie: Simona Moscadelli

Set e Photo Editing: Andrea Zeschi

L'Uomo del Bosco con ascia

L'Uomo del Bosco con gancio

Il Campanaro



Figura in Bianco


Mani: Filo Spinato

Mani: La Fonte

Mani: La Legnaia

Mani: Rovi

domenica 18 ottobre 2015

Captain Mechbeard / Willy l'Orbot - disegno per contest robotico

Captain Mechbeard è un mecha ideato per il contest Disegna il Robot organizzato dal CRStudio nel 2015. Ideato sulla falsa riga del personaggio storico Barbanera, è stato revisionato dall'illustratore Simone Daraghiati e ribattezzato da lui stesso Willy l'Orbot. Il primo realizzato a pastelli e penna, il secondo in computer graphic. Qui di seguito i due disegni a confronto, "prima e dopo la cura" (in piccolo la versione con l'ancora).


Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...