domenica 20 dicembre 2015

Spam - racconto sci-fi weird sulle conseguenze del gameplay

La porta emise un sinistro cigolio. Oltre, il buio.
Entrò lentamente guardandosi intorno con la torcia elettrica, in cerca di provviste e munizioni. L'Apocalisse Zombi aveva ridotto la razza umana a bande rivali in lotta per la sopravvivenza e doveva tornare dal suo gruppo con qualcosa da mangiare e possibilmente della benzina per il genertore...poi un rumore improvviso. Uno zombi si avventò contro...

ERRORE INASPETTATO. CONTATTARE L'ASSISTENZA.

Cazzo!

La Gamestation High Reality si aprì con un sibilo, lasciandolo al suo interno nudo come un verme, infreddolito e con i cavi attaccati al corpo. Le flebili luci di emergenza illuminavano il grosso pulsante intermittente di Richiesta di Assistenza. Lo premette.
Gentile Abbonato, la sua richiesta di assistenza è stata inoltrata. L'intervento arriverà entro un'Ora di Gioco.”
Incredibile! Il suo abbonamento Premium All Life con la Fony prevedeva 24/24 ore di gioco ininterrotte, il download gratuito di tutti i giochi Fony, Multiplayer Online, un account Musify per ascoltare tutta la musica che vuoi senza mettere in pausa il gioco, nutrimento tramite flebo, assistenza sanitaria integrata, rimozione automatica delle piaghe da decubito, manutenzione ordinaria della Gamestation e cremazione del corpo in caso di morte. Il suo Reddito Assicurato di Cittadinanza veniva direttamente versato alla Fony, così da non dover perdere tempo con ulteriori pratiche burocratiche. Con tutti i soldi che gli dava, era inammissibile che la macchina avesse un'avaria del genere!
Il campanello suonò.
“Signor Jean Papadopoulos, siamo l'Assistenza Fony. Tutti i dati da lei forniti verranno utilizzati unicamente a fini contattuali nel rispetto della Privacy. Per avere l'assistenza tecnica dovrà premere Accetta sulla sua console, altrimenti prema Rifiuta.”
Premette il pulsante Accetta.
La porta si aprì ed entrarono due androidi. Quello simile ad un manichino di un negozio di abbigliamento indossava una tuta da lavoro blu della Fony e spingeva una sedia a rotelle. Dietro di lui fece il suo ingresso un robot più squadrato e grezzo, con una tuta marrone e una grossa cassetta degli attrezzi.
“Salve Signor Papadopoulos, il mio nome è Lao e sarò il suo Androide di Assistenza fino al termine della riparazione. Lui è Hans e si occuperà del guasto della sua Gamestation Fony High Reality. Ora mi permetta di aiutarla.”
Lao scollegò i cavetti neurali da Papadopoulos, poi estrasse il catetere e il collegamento rettale, per concludere togliendo l'ago della flebo. Con delicatezza lo prese in braccio e lo adagiò sulla sedia a rotelle coprendolo con un telo termico. Jean si accorse che le sue gambe erano totalmente atrofizzate e che il ventre bianco e flaccido aveva la consistenza di un budino.
“...Lao...” la voce era un sibilo. Da quanto non parlava?
“Si, Signore?”
“...apri la finestra...”
“Signore, i suoi occhi non sono abiturati alla luce solare. Potrebbe riportare traumi oculari.”
“...ok...” Jean deglutì e aspettò guardando Hans che riparava la macchina.
Da quanto non sentiva pronunciare il suo vero nome? Dark Borg, Elethienet, Lorne Malvo, Lupo Maledetto...aveva perso il conto dei suoi nickname. Era stato un Pirata del Cybercosmo, un giocatore di Bloodball, un Gangster di Pechino, un Investigatore dell'Impossibile...ma chi era Jean Papadopoulos? O meglio, cosa ricordava di sé stesso?
Nella luce soffusa di emergenza della Gamestation intravide il calendario appeso alla parete, fermo all'anno in cui aveva acquistato la macchina. Su un tavolo il suo vecchio computer.
“...Lao, portami al computer...”
“Si, Signor Papadopoulos.”
Pulsante di accesnione. Caricamento. Caricamento in corso. Attendere prego. Attendere prego. Jingle. Doppio click Foto. Foto di bambini: figli? Nipoti? Foto di anziani: genitori? Cane, vacanze, gente, aperitivo, donna, uomo, uomo, paesaggio, foto sfocata, foto, foto, foto. Cambio directory. Documenti, doppio click, promemoria, documenti...Jaean vedeva la sua vita come un estraneo che spia i ricordi di uno sconosciuto.
Aprì la casella email. 401.942 email di spam.. L'ultima riportava una data di più di duecento anni dopo quella del calendario appeso alla parete. La data del computer segnava 0000. Ora 00:13.
“...Lao..in che anno siamo?”
“Signore, non posso tecnicamente rispondere alla sua domanda, poiché posso calcolare il tempo solo in Ore di Gioco.”
“...da quante Ore di Gioco sono collegato alla Gamestation?..”
“Da undicimiliardicentoottantamilioniseicentoventiquattromilacinquecentoventi Ore di Gioco, Signor Papadopoulos.”
“...puoi converire le Ore di Gioco in anni civili?..”
“Certo, le Ore di Gioco accumulate corrispondono a unmilioneduecentosettantaseimila trecentoventisette anni, Signor Papadopoulos.”
“...Un Milione di Anni!?.ci dev'essere un errore!..”
“Nessun errore, Signor Papadopoulos.”
Jean strizzò gli occhi e si leccò le labbra. “Apri la finestra Lao.”
“Come vuole, Signore.”
La luce solare invase la stanza bruciando gli occhi di Jean. Lentamente riacquistò la vista. Una lussureggiante foresta intricata aveva preso il posto del panorama di palazzi, strade, cartelli pubblicitari, monumenti. Alcuni edifici erano ancora in piedi, come monoliti nel deserto.
“...non respiro...”
Lao prese un respiratore da sotto la sedia a rotelle e lo adagiò sulla bocca di Jean.
“...sono vivo...sono vivo...come faccio ad essere vivo se è passato più di un milione di anni?!.”
“Le App di Ricerca Fony hanno sviluppato il plugin Immortalità. Lei accettando gli upgrade contrattuali ha avuto automaticamente diritto al plugin Immortalità, disponibile per tutti gli Abbonati Premium All Life Fony, Signor Papadopoulos.”
“...Lao...che fine hanno fatto tutti?..”
“Il 99% della popolazione mondiale è collegata alla Game Station con Abbonamento Premium All Life Fony, Signor Papadopoulos.”
“...e l'1%?..”
“L'1% sono gli individui che hanno perso il diritto al Reddito Assicurato di Cittadinanza per aver violato la Legge, requisito necessario per stipulare un Abbonamento Premium All Life, Signor Papadopoulos.”
“...e dove sono?..”
“Non posso tecnicamente rispondere alla sua domanda. I dati in mio possesso riguardano solo gli Abbonati Fony, Signor Papadopoulos.”
“...ma, se tutta la popolazione mondiale è collegata alle macchine, come possiamo riprodurci?”
“La natalità degli Abbonati è pari a zero, Signor Papadopoulos.”
“...ma...ma chi gestisce la Fony?..”
“La Fony è un'Azienda 100% a gestione automatizzata e ad energia solare. Le App di Ricerca sviluppano nuovi giochi e upgrade biologici per gli Abbonati, mentre le App di Manutenzione si occupano delle Gamestations e delle abitazioni degli Abbonati, Signor Papadopoulos.”
“...non...non c'è nessun essere umano a gestire la Fony?..”
“No, Signor Papadopoulos.”
“...cosa è successo durante tutto questo tempo?..”
“Posso solo fornire informazioni riguardo il Mondo Fony, Signor Papadopoulos.”
Jean ebbe un mancamento.
“...portami sul corridoio del pianerottolo...”
Lao spinse la sedia a rotelle fuori dall'appartamento. Porte impiallaciate finto legno marrone nocciola correvano lungo il corridoio illuminato dai neon. Alcune erano aperte.
“...Lao, portami dentro quell'appartamento...”
“Signore, mi è proibito svolgere azioni che permettano all'Abbonato di violare la Legge.”
Jean a fatica spinse con le braccia la sedia a rotelle ed entrò nell'appartamento di un suo vicino. La porta era stata chiaramente sfondata dall'esterno. La Gamestation Fony troneggiava al centro del monolocale...aperta.
Si avvicinò scorgendo il contenuto: uno scheletro scomposto abitava la bara di plastica e transistor.
Jean si tirò indietro, poi visitò altri appartamenti violati, tutti con lo stesso orrendo scenario.
Dei rumori provennero dalle scale. Versi, passi, ringhi, soffi, mugolii. Jean si ritrasse verso Lao.
Sul pianerottolo apparvero un branco di bestie pelose e scimmiesche. Il volto squadrato, le zampe tozze e muscolose, le fauci appuntite. Occhi piccoli e neri. Lanciando versi minacciosi, si lanciarono verso Jean.
“LAO! PORTAMI NEL MIO APPARTAMENTO DI CORSA E CHIUDI LA PORTA!”
Lao obbedì, prima che gli animali feroci riuscissero a ghermirlo. Le bestie cominciarono a battere fuori dalla porta.
“Riparazione completata” disse Hans.
“La sua Gamestation High Reality Fony è ora funzionante e pronta all'uso, Signor Papadopoulos. E' ora possibile continuare a giocare.”
“No! Se uscite quelle bestie entreranno e mi uccideranno! Barricate la porta! Chiamate la polizia! Aiutatemi!”
“Il servizio di assistenza è terminato, Signor Papadopoulos. Per ogni reclamo può contattare il Servizio Clienti online.”
Lao ripose Jean nella Gamestation, ricollegandolo a cavi, tubi e aghi.
“No! Vi prego! No!”
“Gazie mille per la pazienza, Signor Papadopoulos.”
Lao chiuse il coperchio.
Jean era online affrettandosi a raggiungere il Servizio Clienti, ma presto la Gamestation fu divelta dagli sciacalli feroci, che smembrarono selvaggiamente il povero Abbonato divorandone il cadavere.
Jean Papadopoulos, come altri suoi simili, fu il facile pasto in scatola dei discendenti evoluti dopo un milione di anni da quell'1% della specie umana.

FINE


lunedì 16 novembre 2015

Il Quadro (The Picture) - racconto sulla follia dell'arte o sull'arte della follia

Henri, colpito da una grave appendicite, era costretto al letto. Nel suo piccolo e spartano monolocale la sua attività preferita era leggere libri su paesi lontani. Il suo amico Pablo lo aiutava con piccole commissioni e nuovi libri che arricchivano le pile accatastate sul pavimento.

Toc toc
“Avanti” disse Henri
La chiave girò nella serratura e fece la sua comparsa Pablo con un grosso ingombro che trasportava con entrabe le mani.
“Pablo! Ma che cos'è quella roba?!”
“Un regalo per te.” Poggiò a terra il pacco grosso e piatto ed iniziò a scartarlo “Tadaaaaa!”
“Un quadro? Io non ho quadri.”
“Appunto! In questa stanza non c'è una nota colorata, solo pile di libri e pentole. Henri, hai bisogno di cose belle da vedere.”
“Bhè...in effetti apprezzo il gesto. Avvicinalo, fammelo vedere meglio.”
La tela era contornata da una semplice cornice in legno scuro e ritraeva una stanza: in primo piano un tavolo con un cesto di frutta, in parte caduta sul tavolo, e un vasetto di fiori su una tovaglia a righe bianche e rosse; affianco un mezzo grammofono appoggiava su un apparente caminetto.. Sullo sfondo una tenda tirata per una parte, apriva una stanza caratterizzata da una grande finesta che affacciava su un panorama di tetti e montagne ancora più in là. Le pareti, la tenda e il pavimento erano ricopperti di arabeschi di vari colori. Tutto sarebbe stato abbastanza normale se non per le prospettive mutevoli e le vie di fuga ambigue che rendevano il tutto...bizzarro.
“...Ti piace o no?”
“Si...dieri di si...non saprei, non ci capisco di arte...ma direi che mi piace.”
“Bene! Lo vogliamo appendere davanti al letto? Così potrai contemplarlo quando vuoi.”
Preso martello e chiodi, Pablo fissò il quadro alla parete. “Ora devo andare Henri, ci rivediamo nei prossimi giorni.”
“Va bene Pablo, grazie mille...aspetta...” Pablo uscì dalla camera senza che Henri finisse la frase.
Si era dimenticato di chiedergli dove avesse preso il quadro.

Quella sera Henri non riusciva a dormire e un fastidioso mal di testa rendeva la lettura difficile. Alzò lo sguardo verso il quadro. Inizialmente la sua attenzione fu catturata dalla frutta caduta sul tavolo: limoni? Mele? Pesche? Arance? La pennellata dell'artista non era netta, tutt'altro, rendendo gli oggetti comprensibili, ma non del tutto. Poi vagò con lo sguardo nella camera dipinta, per ammirare la tenda tirata da una corda, ricoperta di disegni nebulosi e variopinti. “Entrò” nella seconda stanza. Li si “affacciò” dalla finestra sul paesaggio sfocato...notò qualcosa...
Tra la finestra chiusa e la tenda tirata, c'era un piccolo rettangolo di tela che prima non aveva notato. Dentro quel rettangolo c'era un volto indefinito. Non era chiaro se fosse l'artista che si specchiava da dietro il tavolo con la frutta, o se fosse un'altra stanza oltre quella con la finestra. Non si ricordava di quel volto...
Henri si addormentò.

“Curioso” disse Pablo.
“Mi comunica inquietudine, ma anche calma.”
“Neanche io avevo notato il volto.”
“Queste vie di fuga paradossali, queste geometrie inesatte, queste pennellate indefinite...originale...”
I due amici fissavano il dipinto seduti sul letto da almeno un'ora.
“Henri, ora devo proprio andare all'ufficio postale a spedire una lettera importante, ci vediamo nei prossimi giorni.”
“Ciao Pablo, grazie della visita...ah, dove hai...” Pablo era uscito. Anche questa volta si era dimenticato di chiedergli dove avesse preso il quadro.

“Pronto Pablo...vieni subito!”
Henri camminava nervosamente nella stanza, osservando con la coda dell'occhio il quadro, ma senza mai soffermarcisi troppo.
Entrò Pablo.
“Cosa è successo, amico mio?!”
“Pablo, guarda il quadro, guarda bene...guarda il volto!”
“...Henri...ti assomiglia...”
“Sono io Pablo! Il volto nel quadro è il mio! Pablo...dove hai preso il quadro?!”
“...”
“Dove!”
“Henri...da quando ti conosco il quadro è sempre stato qui...”
Henri sbiancò in volto. “Cosa dici? L'hai portato tu pochi giorni fa!”
“Non è vero Henri, io...”
“Tu vuoi farmi diventare pazzo! Sei entrato di notte ed hai dipinto tu il volto mentre dormivo! Prima l'hai abbozzato, poi l'hai reso simile al mio! Perché vuoi farmi impazzire, eh?! Perché!!!”
“Henri, calmati!”
“Fuori! Vattene via! E non tornare mai più!”
Henri cacciò Pablo dalla stanza sbattendo la porta, poi con rabbia staccò il quadro dal muro e lo lanciò fuori dalla finestra.

Al suo risveglio Henri vide che il quardo era ancora appeso al muro. Una lettera affrancata era stata fatta passare sotto la porta d'ingresso:

Caro Henri,
dove sono ora tutto è strano e diverso. Ciò che credevo certo si è rivelato un'illusione. Cosa ci spinge a credere in quello che percepiamo? Perché non possiamo vedere la meraviglia che si nasconde dietro le geometrie convenzionali? Henri, dovresti vedere questi colori e queste forme. Henri, devi raggiungermi. Henri, è meraviglioso.

Pablo”
Henri svenne.


Aprì gli occhi. Un turbinio di forme e colori indefiniti gli trafisse gli occhi. Davanti a lui un tavolo con della frutta caduta, una tenda scostata, una finestra che dava su delle case, in fondo uno specchio dove si rifletteva il suo volto. Si girò. Una tela appesa al muro raffigurava la sua stanza con il letto vuoto e le pile di libri sul pavimento.
Urlò, si nascose sotto il tavolo. Vi rimase per molto tempo in stato catatonico, forse ore, forse giorni, forse secoli. “Henri, dovresti vedere questi colori e queste forme.”
Si alzò in piedi, prese uno dei frutti dal tavolo e lo morse. Tra i denti sentì una sostanza morbida sciogliersi in bocca e potè distinguere nettamente il sapore di giallo e di rosso. Annusò i fiori del vaso che lo costrinsero a portarsi entrambe le mani sulle narici come a difendersi da una tale fragranza mai annusata in precedenza, così piacevole da rimanerne terrorizzato. Hernri pianse dalla gioia. Si spostò verso il grammofono sul caminetto e lo mise in funzione. Dopo l'iniziale gracchiare, un suono sconosciuto riempì le sue orecchie. Non c'era melodia o armonia. Il contrappunto era inesistente e gli strumenti indistinti. “Ciò che credevo certo si è rivelato un'illusione.” Le ginocchia di Henri cedettero e cadde a peso morto. Rialzatosi a fatica passò sotto la tenda scostata da una corda e vide la sua figura allo specchio. Una serie di macchie colorate definivano Henri. “Cosa ci spinge a credere in quello che percepiamo?”
Aprì la finestra e si affacciò. Un villaggio nebuloso circondava l'abitato, sull sfondo delle montagne grigie si fondevano con il cielo. “Perché non possiamo vedere la meraviglia che si nasconde dietro le geometrie convenzionali?”

Era solo, esplorando i vicoli informi del villaggio. Non c'erano abitanti, né porte, né finestre. Dopo la foresta di edifici il mare, o l'oceano, o una vasta distesa d'acqua mutaforme: blu, azzurro, celeste, bianco, spuma, onde, vuoto, spazio siderale, solitudine.
Una figura emerse lentamente dal colore: un enorme Octopus si ergeva davanti Henri, paralizzato dalla gigantesca mostruosità. In un boccone lo divorò.

Picasso bussò alla porta.
“Pablo, entra pure!”
“Cosa volevi farmi vedere di così urgente?”
“La mia nuova opera. Si chiama Interno con fonografo.”
Matisse fece accomodare Picasso nell'altra stanza.
“Henri, è meraviglioso!”
“Grazie Pablo, ma ora ti devo raccontare un sogno che ho fatto qualche tempo fa....”

FINE

mercoledì 4 novembre 2015

Visioni Spettrali - fotografie di inquietudini

Fotografie realizzate in occasione di Halloween 2015 presso Villa Badde, Leonessa (RI), Italia.

Fotografie: Simona Moscadelli

Set e Photo Editing: Andrea Zeschi

L'Uomo del Bosco con ascia

L'Uomo del Bosco con gancio

Il Campanaro



Figura in Bianco


Mani: Filo Spinato

Mani: La Fonte

Mani: La Legnaia

Mani: Rovi

domenica 18 ottobre 2015

Captain Mechbeard / Willy l'Orbot - disegno per contest robotico

Captain Mechbeard è un mecha ideato per il contest Disegna il Robot organizzato dal CRStudio nel 2015. Ideato sulla falsa riga del personaggio storico Barbanera, è stato revisionato dall'illustratore Simone Daraghiati e ribattezzato da lui stesso Willy l'Orbot. Il primo realizzato a pastelli e penna, il secondo in computer graphic. Qui di seguito i due disegni a confronto, "prima e dopo la cura" (in piccolo la versione con l'ancora).


lunedì 5 ottobre 2015

Le Cronache delle Scimmie Pirata: la Saga di Quick - Episodio 6 (The Chronicles of the Pirate Monkeys: the Saga of Quick - Episode 6)

Episodio 6:
La Grande Fuga

“Che lo spettacolo abbia inizio!” gridò Luis Le Grand al centro dell'arena.
Uno scroscio di applausì e grida saturò il tendone. Uomini, donne, vecchi, bambini, storpi e dementi affollavano gli spalti, l'uno ammassato all'altro come vermi in un secchio.
La banda attaccò fragorosamente sovrastando il clamore del pubblico ancora più eccitato. I battiti cardiaci divennero sempre più veloci.
Ecco gli acrobati: balzi, capriole, piroette, poi tutti a penzolare in alto tra le funi lanciandosi da un'altalena all'altra. Al suolo una foresta di nasi all'insù in attesa del primo collo rotto.
Un gruppo di nani salterini fece da ponte tra gli acrobati e i pagliacci, che tra una torta in faccia e una caduta rocambolesca fecero sbellicare dalle risate gli astanti. La scena dei clown poliziotti che inseguivano su dei piccolissimi tricicli i clown ladri a loro volta su dei piccolissimi monocicli, causò l'infarto a un povero vecchio che fu immediatamente portato fuori di peso dagli inservienti senza che nessuno se ne accorgesse.
Buio in sala “Signore e Signori...” il silenzio calò nel tendone “è arrivato il momento più emozionante dello spettacolo, ma anche quello più sfrenato e pericoloso...quindi vi prego di non fare movimenti improvvisi e di non applaudire se non dopo il segnale dei nostri artisti!”
Silenzio.
“...Signore e Signori, benvenuti nelle Terre Selvagge!” come se Le Grand non avesse fatto raccomandazioni sull'evitare rumori, la banda attaccò una marcia trionfale che precedette l'ingresso degli elefanti, capeggiati dal capo addestatore Dunfrey in groppa ad uno di essi. Poi le giraffe a ruota. Sotto di lui una squadra di addestratori teneva a bada le bestie con fruste e pungoli di ferro. “Oooooooohhhhh!” esclamò il pubblico che non aveva mai visto bestie esotiche.
Un carosello di sfilate e inchini animali stupì il pubblico: le giraffe leccavano i cappelli piumati delle signore, mentre gli elefanti rubavano e restituivano ai legittimi proprietari le bombette e i cilindri dei rispettabili signori di Boston, scatenando l'ilarità generale.

“Figli miei, ci siamo quasi, ricordate il piano passo per passo, nessun errore!” disse Mama al buio dietro le quinte. Le scimmie silenziosamente fecero si col capo.
Elefanti e giraffe si disposero in cerchio costretti dagli addestratori e con un colpo di cimbali fecero ingresso le scimmie, che correndo in cerchio provocarono scompiglio tra la folla. Un bambino tirò la coda ad un gibbone che dolorante non poté far altro che allontanarsi urlando sotto la minaccia delle fruste. Baracus stringeva in braccio il piccolo fratellino Finley, che con i suoi occhioni blu scioglieva i cuori delle signore al suo passaggio. Dunfrey, sceso dall'elefante, iniziò a dirigere i numeri con le scimmie in un mix di acrobazie e gag: lo scimpanzé che nasconde la banana all'addestratore per poi tentare di mangiarla mentre è girato dall'altra parte, la piramide di scimmie, la “Famiglia Scimmioni” comprendente mamma, papà e figli travestiti da umani con sgargianti parrucche, e la “corsa selvaggia”, dove tutte le scimmie iniziarono a correre per l'arena saltando l'una sull'altra in uno tzunami peloso e urlante.
Poi le luci tornarono basse e tramite dei filtri di vetro applicati dagli inservienti sui lucernari del tendone, un bagliore verde illuminò l'arena.
 
La banda iniziò una musica tribale e mentre una pesante nebbia strisciava a terra, un enorme paiolo bollente fu fatto entrare. Dal fondo del tendone, trasportata a spalla da due grossi gorilla, fece il suo ingresso Mama “la Scimmia Voodoo” vestita con una tunica colorata ed un eorme copricapo piumato, accompagnata dalla sua “schiava umana” Josephine, tirata con un guinzaglio di catena e vestita succintamente di pelli e liane pendenti.
Il numero in sé non era niente di che, ma l'atmosfera magica teneva incollato il pubblico alla scimmia, che muovendo le mani sopra al paiolo creava fumi e schizzi d'acqua colorata attraverso delle sostanze chimiche che lasciava cadere, intramezzati da scenette teatrali tra la scimmia e la sua schiava, che facendo finta di morire veniva “rianimata” dalla Scimmia Voodoo.
Baracus diede un'occhiata a Chimpa, che mosse il capo e a sua volta fece un cenno a Bongo, uno de gorilla che aveva trasportato Mama. Era arrivato il momento.
Bongo afferrò un ciocco di legna in fiamme sotto al paiolo, seguito a ruota dall'altro gorilla e dirigendosi verso elefanti e giraffe iniziarono a spaventarli con il fuoco. Gli addetratori rimasero sorpresi da quello che stava succedendo e non riuscirono a frenare le bestie che iniziarono a dimenarsi prima sull'arena per poi travolgere gli spalti. Le scimmie si avventarono contro gli addetsratori cercando di disarmarli. Bongo preso alla sprovvista fu infilzato in un occhio da un pungolo di uno degli addestratori, ma con un malrovescio staccò di netto la testa dell'uomo. Hermes sul dorso di un elefante tirava le sue lunghe orecchie, facendolo ancora più imbestialire e distruggere le panchine del pubblico che scappava nel panico più totale verso le uscite.
Mama guardò Josephine, che nel panico era rimasta immonbile “Mi spiace Josephine, ti ho amata, ma sei tu ad aver scelto questa vita, non io” le diede un bacio sulle mani e scappò insieme alle altre scimmie, che nel frattempo si erano incanalate con il pubblico verso la fuga.
In tutto questo marasma di parapiglia e fuggifuggi, improvvisamente uno dei pali portanti cedette sotto la carica di un elefante precipitando proprio su Luis Le Grand, che nel frattempo era sceso nell'arena per affrontare le scimmie e fermare gli animali inferociti. Sbudellato dal legno appuntito, possiamo affermare che morì nel modo più appropriato, avendo causato una fine simile a suo fratello. Oggi è ancora possibile visitare la sua lapide corrosa dal tempo nel vecchio e angusto cimitero di Boston.
Josephine la Voodoo Lady
Baracus con il piccolo Finley in braccio vide Mama in difficoltà tra la folla e corse verso di lei, ma a frapporsi fra loro comparve all'improvviso Dunfrey, che con una stoccata passò da parte a parte Mama. Baracus per lo shock fece cadere il suo piccolo fratellino, che con difficoltà riuscì a raccogliere tra la folla...poi successe tutto al'improvviso: come afferrato da una forza invisibile, Dunfrey fluttuò in aria per poi essere lanciato in un punto imprecisato del tendone. Una luce verde illuminò Baracus accovacciato su Mama. Josephine era sopra di loro fluttuando a mezzaria, gli occhi bianchi e il fumo dal naso e dalla bocca. Pronunciò delle frasi incomprensibili e Mama sgranò gli occhi fissando Baracus. “Baracus, ora Mama non è né morta né viva. Le sue carni non marciranno, ma non potrà far parte del mondo dei viventi fino a che non la porterete su Octopus Island. Se riuscirete nell'impresa dille che anch'io l'ho amata e mi dispiace”. Detto questo volò via attraverso un foro del tendone.

L'appuntamento era su una piccola altura nascosta dagli alberi vicino la città. Molte scimmie non arrivarono mai, altre si leccavano le ferite, altre morirono su quella collina. “Hermes, sei riuscito a vedere nella lotta Mama e Baracus?” chiese Chimpa.
“No...no, affatto...”
Una scimmia risaliva il crinale.
“Baracus!”
Con un braccio portava il non-cadavere di Mama e con l'altro...il cadavere di Finley.
“Oh no...” disse Chimpa.
“Finley...non me ne ero accorto...è stato schiacciato dalla folla...non me ne ero accorto...” singhiozzò Baracus in lacrime.
“Baracus...io...e Mama?...”
“...Dobbiamo trovare Octopus Island...”

“Wow” esclamò Quick.
“Puoi dirlo forte, wow...” rispose Hermes.
“Quindi la scimmia rinsecchita che ho visto era Mama.”
“Hey, non chiamarla scimmia rinsecchita!”
“Scusa.”
“Comunque si, è lei e la vogliamo portare su Octopus Island.”
“E dove si trova?”
“Bella domanda scimmietta! Non lo sappiamo, questa è la verità. E' un'isola che non c'è, un'isola magica e maledetta...navighiamo per i mari alla sua ricerca.”
“...Baracus Le Grand...!...Perché ha preso il nome del vostro aguzzino?”
“Dopo essere stato eletto capitano della nave da noi scimmie, Baracus voleva trovare un nome che incutesse timore nei cuori degli uomini. Quale nome migliore se non quello di chi ci ha tenuto in catene per anni rendendoci schiavi e infelici?...e poi diciamocelo: noi scimmie non è che conoscevamo così tanti nomi!”
“Ma...il piccolo teschio di scimmia che Baracus porta sul cappello...è quello di Finley?”
Hermes annuì.
“E cosa è successo dopo la fuga, come siete diventati dei pirati?!”
“Abbiamo vissuto di espedienti vagando verso sud. Accoglievamo tutte le scimmie in prigione che incontravamo insegnadogli a parlare. A New Orleans abbiamo rubato una nave, e una bertuccia di un marinaio ci ha insegnato a navigare...poi è leggenda!”
“Ma si racconta di voi dai tempi di mio nonno...come...”
“Non invecchiamo scimmietta, non sappiamo perché, ma non invecchiamo...forse è l'influsso voodoo di Mama...dei passi provengono dal corridoio, ti devo lasciare!”
“Aspetta!...”
La chiave girò nella porta della prigione che si aprì.

FINE SESTO EPISODIO

giovedì 6 agosto 2015

L'Uomo Bestia (The Beast Man) - racconto di boschi e sangue

“Marescià, me deve crede, l'ho vistu co' l'occhi mia!” frignò Antonio tra le lacrime seduto sulla vecchia sedia di legno della questura di Capestro.
“Antò, datte 'na calmata sennò te do 'na cinquina che t'appiccico a lu muro” ringhiò il maresciallo Scatenna che circa trent'anni prima fece da padrino al battesimo di Antonio.
“Era 'n'omo, ma c'aveva pure er pelo sulla faccia e le corna e le foje, puzzava de pecora marescià! Puzzava de letame e de stalla...e poi gridava come le bestie, come lu maiale, come li cani e l'animali delle montagne, ma pure come li cristiani!...” poi scoppiò a piangere, versando muco e saliva sulla sue scarpe Nike bianche sporche di terra.

Fu circa due anni prima della strage dei Campi delle Fragola che si iniziò a parlare dell'Uomo Bestia nei dintorni di Capestro. Furono per primi i cacciatori ad avvertire dei versi anomali provenienti dal bosco, mai sentiti prima neanche dai più vecchi, che diedero ore ed ore di discussione le sere al bar durante la stagione della caccia. Poi dai campi scout venivano voci di strani avvistamenti di “cervi su due zampe” o “uomini scimmia” che iniziarono a popolare improvvisamente la catena montuosa, fino a poco tempo prima abitata da semplici falchetti e monotoni cavalli da allevamento, accompagnati da violente uccisioni del bestiame lasciato a pascolare libero. Poi i primi attacchi: sassi contro i parabrezza, accampamenti divelti, strade bloccate dai detriti, escursionisti strattonati, tutti conditi da incontri ravvicinati con creature bestiali non identificate. Le autorità non diedero peso alle segnalazioni fino a quando non cominciarono a sparire le prime persone, apparentemente non collegate tra loro. Fino a quel momento gli scomparsi ufficiali ammontavano a tredici.

La pallonata riecheggiò nell'altopiano
“Ma che lo vòi buttà giù quell'albero?” gridò Antonio disteso sull'erba con una birra in mano.
“Ce faccio un buco e poi ce piscio dentro!” ridacchiò Gabriele detto Torello per il suo temperamento impulsivo, intento a riprendere la palla del discount.
“Torè! Non parlà così, sei proprio 'no schifoso!” si lamentò Maria mentre cambiava dall'autoradio la traccia audio del cd di Vasco fatto in casa. “Cumpà, 'sto pezzo me fa morì” ed ondeggiò la testa seguendo la ballata.
Siamo solo Noi!” Tra gli alberi il suono del Blasco ritmato dalle pallonate. Un poderoso rutto si unì alla band.

Sara si alzò dal prato scrollando il suo vestitino Desigual “Non è possibile!”.
“Dai Sara, se ti concentri sul volo degli uccelli tutto svanisce. Non senti l'energia della terra?” Daniele fece cenno a Sara di passargli la canna mentre si toglieva da davanti alla faccia i suoi dreadlocks.
“Si si la sento, qui l'incrocio energetico è veramente forte, ma con questi rompicoglioni non riesco proprio a rilassarmi...e poi Chandrasurya continua ad abbaiare...amore!” Il chiuahua guardò per un attimo la padrona, poi riprese ad abbaiare. “Io ci vado a parlare”.
I due si avvicinarono al gruppo.
“Ragazzi, scusate se vi disturbo, ma stiamo cercando di rilassarci e con il casino che fate è impossibile.”
“E che stamo a fa? Stamo solo a giocà a pallone e a sentì un po' de musica.” si difese Torello.
“Secondo voi allora è normale? E poi guardate quanta spazzatura!” Il prato era ricoperto di bottiglie e cartacce, che col vento si spargevano a diversi metri di distanza.
“Oh, il cane tuo c'ha pisciato sul plaid!” Maria si alzò in piedi di scatto cercando di allontanare a calci Chandrasurya che le abbaiò contro..
“Se lo tocchi ti ammazzo, stronza!”
Daniele si mise in mezzo “Sara stai calma! Ragazzi per favore, cerchiamo di convivere in pace in questo luogo bellissimo.”
“Ma che è 'na parucca quella?” Chiese Antonio ridendo.
“Guarda neanche ti rispondo.”
“Daniele, dov'è finito Chandrasurya?”
“Era qui...eccolo!” Chandrasurya si stava dirigendo di corsa verso il bosco all'inseguimento di una cornacchia. Sara e Daniele lo rincorsero.

Le indagini dopo le sparizioni portarono a Ettore Pallesco, un abitante di Capestro solitario e strano, almeno a detta degli abitanti. Figlio di contadini deceduti da diversi anni, abitava una casetta in pietra vicino al suo terreno, guadagnava qualche soldo facendo lavoretti di manutenzione nel paese e coltivava il suo orto. Non frequentava i bar del paese e non andava in chiesa: un comportamento inconcepibile per i paesani.
Quando i carabinieri andarono da Ettore trovarono la casa disabitata. Porte e finestre non erano state chiuse ed evidentemente degli animali erano entrati dentro come rifugio. Niente di particolare colpì i militari, ma andando dietro la casa fecero una scoperta inquietante. Un altare fatto di sassi e ossa animali era situato al centro di uno spiazzo erboso, nascosto dalla vista dei pochi passanti sulla strada sterrata che conduceva a casa Pallesco. Quello che risultò dallo studio dell'altare, fu che non era di recente costruzione, anche se per gli scarsi mezzi dei carabinieri di Capestro fu impossibile risalire ad una collocazione temporale. Scavando intorno all'altare furono ritrovate migliaia di ossa animali. L'assenza di ossa umane impedì al maresciallo Scatenna di richiedere rinforzi investigativi, ma a quel punto era certo di chi fosse il responsabile delle sparizioni.

Un urlo disperato irruppe dal bosco.
“Antò, hai sentito?”
“Torè, piglia lu fucile in macchina, 'namo a vede! Marì, vieni pure te.”
I tre si diressero di corsa seguendo il tragitto di Sara e Daniele, raggiungendoli in una piccola radura. Sara era china a terra in lacrime, sotto di lei il cadavere dilaniato di Chandrasurya.
“Noooooo, odddio noooooo! Che cazzo!”
“Sara, sarà stato qualche lupo. E' la legge della natura.”
“Ma che cazzo dici Daniele?! Stai zitto se devi dire stronzate!” Daniele stette zitto.
“Cumpà, tuttapposto?” chiese Antonio avvicinandosi.
“Apposto un cazzo! Mi hanno ammazzoato il cane!”
“Cumpà, venite a vede, er cane è tutto spappulato. Ce mancano pure le zampe de dietro!”
“Madò, che schifezza, me fa vomità!” si lamentò Maria.
“Zitti, cazzo! Zitti! E andatevene affanculo!” urlò isterica Sara, quando fu lei stessa zittita da un grugnito proveniente dagli arbusti, seguito da un verso bestiale che riecheggiò nelll'aria. Poi comparve in tutto il suo orrore: possente si ergeva su due zampe munite di zoccoli, alto più di due metri, lunghi artigli sulle poderose zampe anteriori, ispide setole nere crescevano fino alla testa, sormontata da corna simili ai palchi dei cervi maschi adulti. Era ricoperto di foglie secche e pellicce animali di lupi, orsi, cinghiali e crini di cavallo, che componevano un primordiale e maestoso vestito dal quale spuntava una lunga coda. Ma fu il suo volto a riempire di terrore le menti e i cuori degli osservatori...il muso, seppur provvisto di grosse fauci e folta peluria, era di sicure fattezze umanoidi, anzi...umane. Le pupille nere come il vuoto cosmico.
“Torè! Spara!”
Maria urlò.
“Antò non se carica!”
“Ragazzi, fermi ha più paura lui di noi.” Daniele si frappose davanti la creatura.
“Sparate cazzo! Mi ha ammazzato il cane cazzo!”
L'Uomo Bestia partì alla carica afferrando Daniele alle spalle. Torello sparò i due colpi della doppietta che presero in pieno il petto e l'addome di Daniele, che morì quasi immediatamente poco prima di essere letteralmente strappato in due dall'Uomo Bestia, Antonio cominciò a scappare pisciandosi addosso, mentre alle sue spalle sentì le urla disperate dei suo compagni di sventura, seguite da quei rumori di mattatoio che non dimenticò mai più per il resto della sua vita.
Con il muco che gli colava in bocca e i pantaloni fradici di urina raggiunse la macchina, mise in moto e partì. Dallo specchietto retrovisore vide l'Uomo Bestia che l'inseguiva galoppando a quattro zampe, per poi terminare la sua cavalcata feroce rendendosi conto che ormai l'aveva perso. Un verso bestiale ma anche umano esplose da quella bocca blasfema: “CARNEEEEEEEEEE!”

La carneficina ebbe una eco internazionale talmente forte, che nelle ore successive furono inviati mezzi civili e militari per battere la zona in cerca del “Macellaio di Capestro” (così fu battezzato l'assassino dalle testate giornalistiche). La storia di Antonio fu omessa, così come la sua identità, che però era ben nota a Capestro; in poche ore i paesani vennero a sapere la sua incredible versione, che lo condannò all'emarginazione.
Gli investigatori non riuscirono a trovare un granché, solo il terzo giorno fu fatta una scoperta eclatante, tenuta però accuratamente nascosta. In una grotta situata in una zona impervia tra le montagne, furono trovati segni di presenza umana, anche se “umana” non è la parola giusta. Del diametro di circa tre metri e lunga dieci, appestata da un olezzo nauseabondo, era ricoperta di ossa e pelle, animali e umane, che in seguito agli esami si rivelarono appartenere alle persone scomparse e ad altre sconosciute. Sparsi in giro c'erano i vestiti, qualche effetto personale e soprattutto i documenti di Ettore Pallesco. Fu in fondo alla grotta però che fu fatta la scoperta più terribile e mostruosa, che fece rabbrividire gli investigatori. Un altare di sassi e ossa si ergeva nella parte più buia e profonda, su di esso erano stese delle pelli rinsecchite, sette in tutto, ognuna più grande di quella sottostante. Presentavano uno strappo sulla schiena, come delle mute del serpente...ma di forma quasi umana. L'ultima muta, quella più grande, presentava una forma abominevole che le menti dei presenti rifiutarono di accettare.
Il maresciallo Scatenna riconobbe l'altare ed in quel preciso momento capì che il suo istinto non si sbagliava. Era Ettore Pallesco il colpevole, anzi, quello che Ettore Pallesco era diventato.
Dopo il clamore iniziale e la fine dell'estate, i media smisero di interessarsi al caso. La grotta insieme al suo contenuto fu fatta saltare in aria con delle cariche esplosive, le strade che conducevano ai boschi furono chiuse, fino a diventare impraticabili con il passare degli anni. I pascoli furono spostati a valle, così come le zone di caccia, e a parte qualche esploratore sparuto, nessuno si avventurò più sulle montagne intorno a Capestro. Non ci furono più attacchi o avvistamenti insoliti.

L'Uomo Bestia corre tra gli alberi con il vento che sibila tra le fauci. Figlio della Terra, servo del Cielo Stellato, Fratello e Carnefice del Lupo e del Cervo, Custode dei Segreti della Vita e della Morte. L'Istinto è il suo unico padrone e signore e per suo volere agisce all'infuori del Bene e del Male.
Un dio si è fatto carne.

FINE

lunedì 11 maggio 2015

Il dono di un amico (Gift from a friend) - racconto terrificante di vandalismo e amicizia

Scuola Materna Pier Paolo Pasolini, ore 3:12

*CRASH!*
I vetri della finestra caddero a terra, mentre un sasso rotolò per qualche metro nel buio. Tre figure entrarono illuminando l'atrio dell'asilo.
“Oh che cazzo, così mi fai tagliare!”
“Sbrigati coglione, che se passa qualcuno ci fai beccare e siamo nella merda!”
I tre ragazzini erano dentro e cominciarono a ridacchiare in modo nervoso. I fasci di luce provenienti dagli smartphone illuminavano a spot le pareti della stanza: un Babbo Natale disegnato da un bambino che portava una bicicletta che sputava fiamme dalle ruote, un poster di Monster & Co., un lavoro di gruppo sulla raccolta differenziata, una bacheca di sughero coperta di messaggi e avvisi, la targa dedicata a Pier Paolo Pasolini.
“Ma poi chi cazzo è Pasolini?!”
“Bhò, è tipo un pedofilo.” Disse Pietro rovistando nella sua cultura proletaria deviata.

Pietro 13 anni, figlio di operai, lui metalmeccanico, lei sarta, che con grandi sacrifici lo iscrissero alla scuola privata del quartiere bene. Sempre con pochi soldi in tasca e disprezzato dai suoi compagni di avventura, veniva tollerato per la sua inclinazione all'essere manipolato e a fare cose stupide a richiesta.

“Ma che davvero? Un asilo dedicato a un pedofilo?! Ma chi sono 'sti geni?!” Esclamò Leopoldo per poi sputare sulla faccia in rilievo del poeta; gli altri lo seguirono a ruota. Pietro sputò mezzo sulla targa e mezzo sulla propria maglietta e i suoi amici scoppiarono a ridere piegandosi in due.
Un rivolo di bava densa colava dal naso di Pasolini.

Leopoldo, 17 anni, figlio dell'alta borghesia, lui avvocato, lei mantenuta, era il capo della banda. Viziato, intelligente, falso, furbo, violento, atletico, pavido, carismatico.

Una torcia illuminò il braccio di Leopoldo
“Oh Leo, ma quello è un Rolex?”
“Eh si, l'ho rubato a mio padre, ma poi lo devo rimettere a posto, altrimenti se si accorge mi rompe il cazzo...ma per i diciotto anni mi faccio fare la Mini Cooper e il Rolex.”
“Se vabbè.”
“Oh guarda che io mio padre lo appiccico al muro se non fa come dico io, capito? E se mia madre fiata si becca un bel vaffanculo e via!”
“Ho capito...ho capito...non ti incazzare con me...” Si giustificò in modo sottomesso Mario.

Mario, 16 anni, figlio di commercianti, in sovrappeso, non particolarmente intelligente, veniva usato come valvola di sfogo per sentirsi migliori, tipo: “Oh, ma come cazzo di scarpe ti sei messo?” “Zitto Mario, ciccione di merda, o ti faccio rotolare dalle scale! Ahahahahah!”.

“Dai cazzo, spacchiamo tutto!” irruppe Pietro e correndo aprì una porta con un calcio sparendo nel corridoio lanciando bestemmie a casaccio.
“Certo che è proprio un coglione.”
“Si e pure morto di fame...facciamogli bere l'acqua dei cessi per scommessa e riprendiamo tutto con lo smartphone. Poi spacchiamo un po' di 'sta merda.”
“Si dai!”

Leopoldo e Mario seguirono le porte aperte a calci da Pietro raggiungendo i bagni dell'edificio che si sviluppava su un unico piano terra.
“Oh Pietro, ma dove cazzo stai?” Nessuna risposta...
“Pietro, se non esci fuori diamo fuoco a 'sto posto di merda con te dentro.”
Le mattonelle bianche splendevano sotto le luci fredde degli smartphone.
Da una cabina dei sanitari provenivano dei gorgoglii.
“Pietro, ma che ti sei messo a cacare?...Pietro ora entro e ti riprendo mentre cachi!” Leopoldo attivò la telecamera ed entrò dentro la cabina, ma era vuota. Solamente la tazza in ceramica sporca e un cattivo odore di fogna. Il rumore dei gorgoglii era sempre più forte. Si avvicinò. Inizialmente sembrava che la tazza fosse rimasta tappata e colma di liquami, ma mettendo a fuoco in mezzo a quella massa tra il marrone escremento e il rosso sangue, identificò dei lineamenti familiari...quelli di Pietro, che era come se fosse stato schiacciato a forza dentro la tazza come una marmellata di interiora.
Leopoldo si pisciò sotto e si ritrasse con un balzo sbattendo contro il freddo muro maiolicato. Sudando cercò aiuto con lo sguardo verso Mario. Mario era sospeso a mezzaria, tirato per le braccia da due creature alte circa due metri e mezzo. Una era tozza e pelosa, con grandi fauci acuminate e mani immense, l'altra era simile ad un insetto, un incrocio fra una mosca e una mantide religiosa. Mario piangeva nel buio e singhiozzava, anche lui se l'era fatta addosso e si era anche cacato sotto, i due mostri continuarono a tirare, fino a quando un braccio si staccò di netto e rimase in mano al mostro peloso, mentre l'insettoide cominciò a fare a pezzi il resto del corpo cospargendo il bagno di fiotti di sangue e brandelli di carne e ossa.
Il cellulare di Leopoldo si era scaricato e aveva smesso di funzionare, lasciando l'illuminazione ai raggi di luna. L'ultima cosa che vide furono le grandi zampe a forma di falce che dilaniavano il suo amico di sventura e il grosso mostro peloso che si avvicinava verso di lui, che cominciò a colpirlo pesantemente con il braccio di Mario fino a ridurlo ad una poltiglia molliccia sul pavimento.
“Pelosone, credo che questo sia morto.”
“Si Bacarozzo, anche questo è andato...Succhiasucchia, puoi entrare!”
Una creatura simile ad una larva gigante entrò nella stanza strisciando sul soffitto, per poi dirigersi verso i cadaveri. Con minuziosa scrupolosità prima li predigerì con un liquido viscoso emesso da un orifizio anteriore che potremmo definire bocca, poi li succhio con un altro orifizio posizionato in prossimità dell'altro.
“Aspetta Succhiasucchia!” disse Pelosone avvicinandosi ai resti liquefatti di Leopoldo “Guardate questo bellissimo oggetto luccicante, sicuramente piacerà a Daniele!” e raccolse il Rolex.
Succhiasucchia concluse il suo lavoro di pulizia facendo scomparire ogni traccia biologica dai bagni, poi si diresse verso una tazza e cominciò a defecare i tre ragazzi, tirando numerose volte lo sciacquone aiutato da Bacarozzo. Leopoldo, Pietro e Mario non esistevano più ed i loro resti liquidi si trovavano nelle fogne.

Mattina.
*DRIIIIIIIIN*
Il vociare dei bambini riempì la Scuola Materna Pier Paolo Pasolini.
Le maestre stavano congedando i due poliziotti, allertati dalla bidella all'alba appena arrivata, dopo aver trovato una finestra rotta, ma a parte quello niente era stato distrutto o rubato.
Daniele aprì il suo armadietto e dentro trovò un bellissimo orologio d'oro.
“Marta, Alessio, guardate!”
“Wow, che bello!”
“Si! E' sicuramente un regalo di Pelosone!”
“Si andiamo a giocare con loro!”
I bambini corsero verso il giardino della scuola per incontrare i loro compagni di giochi. C'era Pelosone, Bacarozzo, Succhiasucchia, Rasoio, Occhibianchi, Lingualunga, Dentone e tutti gli altri amici immaginari dei bambini della Scuola Materna Pier Paolo Pasolini.
Daniele si avvicinò a Pelosone mostrando orgoglioso il suo nuovo Rolex.
“Pelosone, ti voglio bene.” Pelosone sorrise mostrando le sue grandi fauci acuminate.

FINE

domenica 15 marzo 2015

Le Cronache delle Scimmie Pirata: la Saga di Quick - Episodio 5 (The Chronicles of the Pirate Monkeys: the Saga of Quick - Episode 5)

Episodio 5:
Benvenuti nel magnifico e mirabolante
Circo Le Grand


Il Circo Le Grand
“Venghino Siore e Siori al circo più incredibile che abbia mai visto la città di Boston! Animali feroci della giungla nera! Scherzi della natura! Saltimbanchi che sfidano la morte! Maghi e paliacci! Venite al magnifico e mirabolante Circo Le Grand!”
Così gridava lo strllone lungo le strade di Boston per attirare avventori al circo Le Grand, accampato con il suo tendone a strisce viola e fucsia nella periferia della città.
I fratelli Luis e Jaques Le Grand venivano dalla Francia in cerca di fortuna. Tagliagole il primo, rapinatore il secondo, decisero di investire il loro cospicuo gruzzoletto illegalmente acquisito nel Nuovo Mondo, anche perché ricercati ormai in tutto il regno. Nel loro tragitto non mancarono di versare abbontante sangue: accoltellarono alle spalle il magazziniere corrotto che li aveva fatti imbarcare clandestinamente sul vascello diretto a New Orleans per riprendersi la tangente, strangolarono gli altri due clandestini compagni di viaggio per drerubarli dei loro ridicoli averi ed infine, messo piede a terra, discuterono su come investire i soldi, che portò alla morte di Jaques sbudellato da Luis con una bottiglia rotta, che potè finalmente tirare su il suo maledetto circo, un'ossessione sin da quando erano fuggiti da Parigi.
Luis dopo aver reclutato addestratori, clown e fenomeni da baraccone, cambiò totalmente atteggiamento recitando il ruolo dell'imprenditore gentiluomo. Alto e magro, se ne stava seduto con i piedi sul tavolo arrotolandosi i baffi all'insù mentre leggeva la scaletta dello spettacolo della serata.
La porta si aprì ed entrò un uomo basso e tarchiato in maniche di camiacia arrotolate, sudaticcio, che emanava un forte odore di sterco di animale.
“Sigor Le Grand, per cosa mi avete fatto chiamare?” chiese in tono remissivo.
“Signor Dunfrey, come vanno i preparativi per questa sera?”
“Tutto bene signore, tutto bene...”
“Ieri il tuo orangutan ha tentato di afferrarmi da dietro la gabbia. Tieni a bada le tue scimmie se vuoi lavorare qui.”
“Baracus? Mi dispiace Signor Le Grand. Le assicuro che prenderò provvedimenti e non ricapiterà più.”
“Se i nostri animali dovessere causare un qualsiasi incidente, verremmo cacciati da Boston a pedate.”
“Si, Signor Le Grand.”
Dunfrey uscì dall'ufficio di Le Grand e si diresse a grandi passi verso le gabbie.
Dunfrey aveva collezionato un gran numero di scimmie provenienti da tutto il mondo conosciuto: scimpanzè, gorilla, babbuini, gibboni e li aveva addestrati a suon di bastonate nei numeri più divertenti che un uomo potesse vedere nel Nuovo Mondo. Trovare lavoro da Le Grand fu molto facile per lui.
Prima di varcare il tendone afferrò il suo bastone e si diresse direttamente verso la gabbia di Baracus l'orangutan, incatenato a dei grossi ceppi ancorati a terra. Aprì la gabbia e cominciò a percuotere violentemente la scimmia che cercò di difendersi come poteva. Tutt'intorno a loro le decine di scimmie iniziarono a gridare e percuotere le sbarre. Dunfrey assestò le ultime bastonate, chiuse la gabbia e andò via.
“Baracus? Baracus? Figlio mio...”
“Mama, non è niente Mama, non è niente”
“Baracus, presto tutto questo finirà”
Dall'ombra della gabbia uscì un vecchio esemplare femmina di scimpanzè che accarezzò Baracus.
“Chimpa, portami un po' d'acqua per favore” disse Mama con voce suadente.
Chimpa, un giovane esemplare di scimpanzè, obbedì e Mama lavò le ferite di Baracus in silenzio.
Mama era arrivata al circo con una donna africana che si faceva chiamare Josephine, una schiava che era stata acquistata da Le Grand al mercato degli schiavi di New Orleans, che aveva intuito un grande numero circense che avrebbe potuto inscenare con quella vecchia scimmia che portava sempre con sé: Mama, la Scimmia Voodoo e la sua schiava Josephine! Un inversione delle parti che lo divertiva molto, se non fosse che in segreto Josephine fosse veramente una voodoo queen, catturata tempo addietro da mercanti di schiavi insieme alla sua fidata Mama. Josephine grazie al voodoo aveva insegnato a comprendere e parlare la lingua degli umani a Mama, che come il contagio di una malattia trasmise alle altre scimmie compagne di prigionia la sua dote magica, all'insaputa di Josephine. Quando Josephine e Mama arrivarono, Dunfrey e le sue scimmie già lavoravano per Le Grand e i loro numeri vennnero integrati, con grande disapputno di Dunfrey. Mama era la scimmia più vecchia e saggia, nonché l'unico esemplare femmina del gruppo, così ne divenne la madre adottiva, nonché leader. Voleva molto bene a Josephine, ma era comunque la sua padrona e insieme ai suoi simili aveva architettato un piano di fuga...che sarebbe avvenuto proprio quella sera.
“Figli miei! Questo è il grande giorno nel quale spezzeremo le nostre catene! Alcuni di noi forse cadranno nell'impresa, ma il prezzo più grande non vale quanto la libertà! Fatevi forza, abbiate coraggio! Che lo spettacolo abbia inizio!”
Un fragoroso grido di battaglia animò le gabbie.

FINE QUINTO EPISODIO

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